Non sparate sulla Croce Rossa
Facile sparare sulla Croce Rossa. Lo ha detto, riferendosi all’Inps, la sua direttrice generale.
Solo che fino a ieri pensavamo che l’Inps, più che la Croce Rossa, fosse la nostra invincibile armata, l’elite della burocrazia abituata a gestire la posizione di milioni di individui, sia per la previdenza che per l’assistenza.
Esiste invece un’altra Croce Rossa contro cui ci si ostina a sparare, rappresentata dai professionisti iscritti ad albi, quelli che alle domande dei loro clienti devono rispondere in tempo reale, non potendo trincerarsi dietro istanze telematiche da presentare a un sito internet che non sempre funziona.
Ebbene, costoro sono stati fatti oggetto della più eclatante ingiustizia degli ultimi tempi. Solo per loro infatti il contributo dei 600 euro è sacrosantamente legato al reddito. Per tutti gli altri autonomi, 600 euro a tutti anche se miliardari, compresi i co.co.co amministratori di grandi aziende.
Se è giusto così, si dovrebbe allora per coerenza modificare anche l’articolo 3 della Costituzione da “Tutti i cittadini (...) sono eguali davanti alla legge” a “Tutti i cittadini (...) sono eguali a seconda della legge”.
Era così difficile subordinare per tutti la spettanza del contributo al reddito o magari ad un’autodichiarazione, assistita dall’ergastolo, di non aver disponibilità liquide superiori diciamo a 10.000 euro?
Un minimo di equità dovrebbe sempre essere ricercata e l’emergenza non dovrebbe servire per arricchirsi, anche se di poco, a spese della fiscalità generale.
Per questo, non ci sarebbe nulla di scandaloso se, per finanziare la protezione civile (anziché obbligarla a raccogliere fondi come una proloco qualunque) e per dare un premietto a coloro che devono continuare a lavorare “on site”, per due o tre mesi fosse richiesto a pensionati e “smart worker” un piccolo contributo di solidarietà, parametrato all’entità del netto mensile. Tranquilli, alla fine del lockdown saranno comunque più ricchi di quando è iniziato.
Così facendo si potrebbero dare anche 1.000 euro a chi ne ha davvero bisogno e presentarci a Bruxelles a battere i pugni con il cappello in mano con più credibilità, attenuando un po’ il retropensiero di qualche cattivone del nord secondo cui “gli italiani” preferiscono mettere tutto sul conto dell’Europa piuttosto che mettere mano al portafoglio.
Tornando al tema, vediamo piuttosto che è la burocrazia che continua a sparare a palle incatenate sulle imprese che per merito o per necessità continuano produrre pagando stipendi e fornitori. Anche solo simbolicamente, andrebbero premiate semplificando un po’ la vita a loro e ai loro consulenti, magari rinviando almeno a settembre tutti gli adempimenti.
Invece no. Solo per fare un esempio, i commercialisti e consulenti del lavoro che stanno facendo fronte ai prevedibili milioni di istanze per accedere alla cassa integrazione con codice Covid 19, devono comunque impostare la pratica preoccupandosi di:
- individuare l’istituto di tutela appropriato;
- contattare preventivamente i sindacati per l’esame della pratica, che deve essere svolto, anche in via telematica, entro tre giorni (?!!!) dalla comunicazione;
- capire se presentare in base all’ubicazione delle unità produttive (con differenti piattaforme e modalità di compilazione) a ciascuna regione o provincia autonoma competente per territorio le istanze, che poi saranno trasmesse all’INPS entro 48 ore dal relativo provvedimento di adozione, oppure presentare un’unica domanda al Ministero del Lavoro;
- inserire, nella domanda telematica, il numero di serie della marca da bollo che non puoi andare a comprare dal tabaccaio, perché non dovresti uscire.
Non era possibile organizzarsi per presentare un’istanza esente da bollo uguale per tutti all’Inps o al Ministero del Lavoro, il quale avrebbe poi provveduto a smistarle alle regioni e, se necessario, ai sindacati?
Infine, per evitare il default di tutto il sistema, è urgentissimo evitare che si blocchino i pagamenti, fornendo la liquidità necessaria a condizioni idonee a restituire la serenità necessaria.
Se alla fine di tutto esisterà ancora il mondo come lo abbiamo conosciuto, avere in circolazione qualche miliardo in più, pur con le imprese piene di debiti in contropartita, non sembra un grosso problema.
È preferibile accettare il rischio di un po’ di inflazione (tutta da vedere perché i consumi e i prezzi credo ripartiranno molto lentamente) oppure la certezza di default totale del sistema produttivo privato? Anche perché, se ciò dovesse accadere, l’unica soluzione per evitare il massacro sarebbe un regime ultra-autoritario sia nell’organizzazione sociale che nell’economia.
Forse è l’obiettivo segreto di qualcuno, ma, se così fosse, lo inviterei a riflettere sul fatto che lo Stato oggi fatica a organizzare (non a realizzare) la produzione di un po’ di mascherine. Pensate dovesse davvero gestire tutto, proprio tutto, compresa la produzione e la distribuzione delle bustine di formaggio grattugiato.
Ma allora perché indugiare ancora in micragnosi distinguo e non dare corso immediato ai finanziamenti infruttiferi garantiti dallo Stato da usarsi esclusivamente per pagare dipendenti e fornitori?
Primum vivere, deinde philosophari.
Diversamente a breve saremo tutti a 600 euro, pubblici dipendenti e pensionati compresi.