Cooperazione e condivisione solo a emergenza finita
La pandemia ha messo in evidenza, sia a livello italiano che a livello internazionale, situazioni che sono chiare da molti anni a chi dispone di un po’ di onestà intellettuale.
In Italia è stata sancita in via definitiva la divisione in caste. I miracolati: pensionati con pensione (rectius donazione) superiore a duemila euro netti al mese in tutto o in parte non coperta da contributi. Gli ipergarantiti: pensionati in genere e dipendenti pubblici (per costoro nessun condizionamento da parte della congiuntura generale, per grave che sia). I molto garantiti: dipendenti privati non interessati dalla cassa integrazione (hanno mantenuto intatto il loro reddito, ma non hanno piena certezza che il loro posto di lavoro ci sia anche in futuro). Gli abbastanza garantiti: dipendenti privati in cassa integrazione (hanno visto ridursi il loro reddito e nutrono seri dubbi per il loro posto di lavoro). I per nulla garantiti: tutti gli altri, quelli che si devono aggiustare sempre e comunque, sperando in un “ristoro”.
Quelli delle prime tre categorie non hanno patito alcuna conseguenza economica dalla pandemia. Non verranno chiesti loro nemmeno 20 euro per il vaccino. Al pari di tutti gli altri provvedimenti, anche il vaccino sarà finanziato a debito, ponendolo a carico delle generazioni future, le quali, ironia della sorte, sono fra le meno vulnerabili dalla pandemia.
Si rassegnino dunque i nostri giovanotti. Chi può cerchi di entrare in una delle caste intoccabili. Gli altri dovranno adattarsi a lavoretti a termine e sottopagati. Non avrà nessun peso il fatto che potrebbero essere in grado di curare, insegnare, investigare, giudicare, pulire aule e fossati meglio e a metà prezzo rispetto a coloro che lo fanno adesso. Il regime delle caste è inesorabile, chi è dentro è dentro. Per sempre. Quelli fuori si aggiustino, aspettino se mai arriverà il loro turno.
Se all’interno va così, non va meglio “all’esterno”. Ci siamo crogiolati nel sogno della globalizzazione low cost, coltivando il nostro business model fondato su pensioni e turismo: noi in crociera (i più ricchi), o seduti sulle panchine del parco a dire male di tutto e di tutti, mentre giovanotti qua e là per il mondo sgobbano a produrre a buon mercato quel che ci serve.
Ma è bastato un virus a rimettere le cose in chiaro.
L’Italia è progressivamente uscita da tutti i settori strategici: se gli americani non ci dessero il software e i cinesi l’hardware non saremmo più in grado nemmeno di aprire il cancello di casa.
Certo, fino a quando c’è interesse, tutti ti vendono tutto permettendoti di coltivare beato la tua illusione, come i tossicodipendenti a cui, finché sono in grado di pagare, servizievoli spacciatori procurano ogni tipo di sostanza. Ma quando entrano in gioco dinamiche di sopravvivenza nessuno ti vende più niente. Vale per i vaccini come per i vitelli.
L’ottimo Biden ha detto un’ovvietà che dovrebbe suonare per noi come l’ultima chiamata se vogliamo evitare un futuro che non sia costellato da periodiche questue, patetiche quanto inutili: cooperazione e condivisione ci saranno solo a emergenza finita! Per la miseria, ma come potrebbe essere diversamente? Loro hanno finanziato, e non da ora, la ricerca medica ai massimi livelli, loro hanno messo a punto il vaccino, loro sono in grado di produrlo. Non c’è ragione che se ne debbano privare per darlo prima a noi.
La domanda che ritorna quindi è sempre la stessa. Qual è il futuro che immaginiamo per noi e per i nostri figli: emigrazione per loro e prepensionamenti per noi?
La pandemia ha mostrato che i farmaci dall’America potrebbero anche non arrivare sempre e che l’emigrazione (almeno quella di lusso per rampolli iperistruiti) potrebbe non essere una strada sempre praticabile. Dobbiamo smetterla di credere alle favole e piantarla di buttare soldi per pagare pensioni non coperte da contributi e redditi a gente che non lavora. C’è un mondo di cose da fare e da scoprire, di schifezze da abbattere e ricostruire. Dobbiamo dirottare risorse ingenti sui giovani in modo che da subito possano avere lavori e stipendi veri, per progettare il loro e nostro futuro.
Da soli la vedo dura, ma se l’Europa provasse ad esistere e arrivasse a decidere, costi quello che costi, che è vitale conservare un tessuto produttivo minimo in tutti i settori e un’attività di ricerca e sviluppo autonoma in tutti gli ambiti strategici, forse, potremmo ancora farcela.
Noi un “micro mattoncino” vogliamo provare a metterlo. Mai come ora ci è parso simbolicamente vitale sostenere un progetto di ricerca della Fondazione Veronesi fatto da una giovane ricercatrice in Italia.
Attraverso il link EutekneperVeronesi potete fare la vostra donazione. Anche piccola o piccolissima è importante, non serve molto, in fondo …. è una “giovane”.
Siamo orgogliosi del contributo che noi commercialisti abbiamo dato alla nostra nazione in questi mesi, senza mai tirarci indietro. Non facciamo mancare il nostro sostegno a Marsha Pellegrino. Non è nulla nel mare di quello che si dovrebbe fare, ma l’idea che lei ce la possa fare grazie a noi fa stare un po’ meglio.
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