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LETTERE

Il caso delle CU dei pensionati è un esempio dell’inefficienza del digitale

Giovedì, 24 giugno 2021

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Gentile Redazione,
da qualche tempo l’INPS non invia più le CU ai pensionati, ma le mette a disposizione sulla sua piattaforma digitale cui si accede con un meccanismo protetto (PIN + password).

Penso a quelli come mio padre, 88 enne, pur in salute e abile al ragionamento, tanto da predisporsi da sé la dichiarazione dei redditi, che da qualche tempo va in ansia perché non riceve più la CU nella sua busta cartacea, ma dovrebbe “scaricarsela” dal sito dell’INPS.
Ovviamente non è in grado di farlo (anche perché il sito cambia continuamente, ed è impossibile creare un manualino passo passo acciocché possa farlo da solo) e la faccenda, oltre che stressante, è anche umiliante per lui, costretto a chiedere aiuto.
Quell’aiuto, comunque, si risolve in una gran perdita di tempo, oltre che di sua riservatezza: siccome per le solite ragioni di sicurezza se non si entra nel sito ogni 6 mesi il PIN scade, ogni anno occorre che qualcuno si presti a rifare la procedura daccapo per sbloccare l’accesso e scaricare l’agognata CU.
Che poi andrebbe pure stampata, se non si è in grado di conservarla digitalmente come da legge...

Insomma, ogni anno l’INPS evita di spendere una cifra risibile per stampa e spedizione (a esagerare, vogliamo dire 2 euro?), mentre mio padre soffre uno stress, un’umiliazione, perde la sua privacy e qualcuno per lui perde tutti gli anni un’oretta di tempo.
Che poi non è nemmeno detto che l’INPS risparmi veramente quei 2 euro: la piattaforma costerà pur qualcosa, per la progettazione, per la manutenzione e per l’assistenza agli utenti.

Astraendoci dalla questione materiale, a me pare evidente che la digitalizzazione dello Stato, fatta in questo modo, non sia affatto improntata all’efficienza, ma alla traslazione del lavoro dallo Stato al Cittadino.

Infatti, a parti invertite, ovvero quando è lo Stato a dover ricevere e il cittadino a mandare, non è prevista la possibilità che il cittadino possa limitarsi a mettere a disposizione il documento in questione – che sia la dichiarazione dei redditi o un ricorso – e sia lo Stato a procurarsi PIN e password dal sito del cittadino per scaricarselo. Ma è il cittadino che deve nuovamente dotarsi di (specifico) PIN e password e caricare lui il documento nel sito dello Stato.

Ampliando ancora il discorso sul digitale, abbiamo in Italia una situazione che è difficile spiegare a uno straniero.
Siamo stati i primi (e forse gli unici al mondo) a pretendere che una vasta categoria di cittadini si doti di una firma digitale e di una PEC.
Si diceva che con questi strumenti si sarebbe dialogato con la P.A. con la dovuta certezza giuridica e senza la necessità di altre forme diversificate di identificazione, ma poi si scopre che sono solo forme aggiuntive, e non sostitutive.
Infatti la PEC non può essere usata per spedire una dichiarazione dei redditi o depositare un ricorso in Commissione tributaria, e la firma digitale non è sufficiente per essere identificati (si chiede ora lo SPID). Tant’è che per ottenere il CUD di cui sopra non sono d’aiuto né la PEC né la “smart card”.

La conclusione che mi sento di trarre è che chi pensa alle procedure digitali non ha affatto in mente lo sviluppo della società o l’efficientamento del sistema, ma pensa soltanto a come far risparmiare tempo e denaro a una parte (quella pubblica) a danno dell’altra, senza curarsi che il danno per l’altra è 10-20 volte tanto il risparmio della prima.
Che poi sarebbe l’antistato: la ragion d’essere dello Stato è proprio quella di condividere quei costi che se sostenuti individualmente sarebbero più alti.

Insomma, bisognerebbe ricordarsi come concludeva Celentano nel suo capolavoro Svalutation:
“Ma
quest’Italia qua
se lo vuole sa
Che ce la farà
E
il sistema c’è
Quando pensi a te
Pensa
anche un po’ per me”.


Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano

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