Perché i Commercialisti riescono sempre a essere un problema?
Come molti, assumo ogni mattina la prescritta dose giornaliera di novità fiscali. Dopo di che passo, mio malgrado data la loro pervasività, a leggere le mail e i messaggi (e già! oggi, oltre alla posta elettronica e cartacea, bisogna presidiare anche pec, sms, WhatsApp, LinkedIn, Facebook and whatever else).
Nei giorni scorsi mi sono imbattuto in una mail che offriva soluzioni per l’implementazione di un finalmente risolutivo controllo di gestione, con una frase del seguente tenore: “Caro Collega, il Covid fra le tante evoluzioni che ha causato, ha accelerato il declino inarrestabile della professione del COMMERCIALISTA fiscalista contabile puro e la fine del controllo quantitativo.”
Analogamente, sempre qualche giorno fa, su un primario quotidiano italiano era possibile trovare magnificata una soluzione consulenziale innovativa secondo cui “L’Italia è il Paese delle piccole e medie imprese, che sono quelle che poi hanno il tax rate più alto di tutte. E questo purtroppo molto spesso accade anche perché il livello di consulenza che ricevono, magari dal commercialista tradizionale, non gli permette di andare a individuare tutte quelle strategie, tutte quelle soluzioni, che esistono, che sono presenti all’interno del Testo Unico delle imposte dirette, con i vari decreti fiscali che vengono fatti, per ridurre il peso complessivo del tax rate che abbiamo su queste imprese”.
Questo tipo di sollecitazioni mi gettano puntualmente nello sconforto e mi fanno ritornare con la mente quando implume praticante muovevo i primi passi nella professione. Erano i tempi di un qualche condono, il 760 (si chiamava così) era di 10 pagine di cui due erano dati anagrafici, al 31 maggio la campagna dichiarativa finiva e, poiché il mio dominus voleva che consegnassimo tutto entro il 30, il 31 ci portava tutti in centro a prendere il gelato. I politici dichiaravano che avrebbero semplificato il sistema e combattuto con vigore l’evasione fiscale che le statistiche del Ministero certificavano in entità mirabolanti.
Negli stessi giorni, l’autunno del 1989, partecipavo ai primi convegni. Mi sedevo sempre verso il fondo della sala, schiacciato dal complesso di inferiorità che generavano in me la sicurezza e la preparazione dei relatori, i quali immancabilmente esordivano stigmatizzando l’ipertrofia normativa, profetizzando la fine da lì a poco di una professione che aveva a oggetto adempimenti micragnosi e inutili che il sistema avrebbe rigettato come corpo estraneo.
Sono passati più di 30 anni, il modello REDDITI società di capitali è di 58 pagine, le relative istruzioni sono di 293 pagine. Le istruzioni per il modello persone fisiche sono di 367 pagine. I politici dichiarano che semplificheranno la selva di adempimenti e che combatteranno con vigore l’evasione fiscale che le statistiche dell’Agenzia delle Entrate certificano in entità puntualmente mirabolanti. I commercialisti “veri” sono diventati 120.000 e hanno assorbito, gratuitamente, una quantità enorme del lavoro che prima facevano Agenzia delle Entrate, Banche, INPS, Camere di Commercio.
Altro che utili al Paese, siamo semplicemente indispensabili. Il contribuente medio da solo non riuscirebbe neanche a compilare il modulo di versamento delle imposte. Figuriamoci a calcolarle.
Ma allora dove sta il problema? Perché siamo piegati in quattro, sopraffatti dall’ansia di non riuscire a fare tutto e dalla certezza che questo sforzo mostruoso non sarà che in piccola parte ricompensato?
Accidenti, se qualcosa è indispensabile, allora è automaticamente prezioso. Perché questo assioma lapalissiano non vale per noi? Che cosa non ha funzionato?
Non è per caso che in trent’anni non siamo stati in grado di far percepire il valore di quello che facciamo, né di ottenere prerogative solide, dimostrandone l’opportunità proprio a difesa delle imprese e dei cittadini che si rivolgono a un professionista “qualificato”?
Non è per caso che abbiamo piuttosto speso energie inenarrabili in conflitti interni senza fine, il cui senso risulta ai più semplicemente incomprensibile?
Come iscritto semplice quale sono, leggo da tempo, anch’io senza comprendere, il susseguirsi di eventi e interventi sulla feroce disputa in atto per la convocazione delle elezioni nazionali e locali. Qualcuno dichiara di agire per il bene della categoria, qualcuno per il bene supremo della legalità, qualcun altro ha esclusivamente a cuore il futuro delle nuove generazioni. Come tutto ciò possa meglio essere perseguito votando oggi, piuttosto che se si fosse votato tre mesi fa, oppure se si potrà farlo fra quattro mesi, mi sfugge, sempre che non ci sia dell’altro naturalmente, che quale iscritto semplice ignoro del tutto.
Cosa invece possa pensare chi è del tutto estraneo alle nostre vicende interne mi è chiaro e lo lascio all’immaginazione di ciascuno, così come lascio all’immaginazione di ciascuno la soddisfazione dei nostri detrattori cui non par vero di vedersi alzare con maniacale puntualità palle solo da schiacciare e fare punto.
Forse aveva ragione mio padre, che voleva facessi il medico. Tutti, a cominciare da me, avrebbero compreso facilmente il senso del mio lavoro. In fondo, laurearsi consiste nel mandare a memoria una trentina di libri, e quello che c’è scritto sopra, ai fini del conseguimento del pezzo di carta, non è così determinante, ma poi ti condiziona tutta la vita.
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