Illegittimo il demansionamento in assenza di prova di una riorganizzazione aziendale
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3131 depositata ieri, 2 febbraio 2023, si è pronunciata sull’illegittimità del mutamento di mansioni della dipendente, in assenza di prova di un’effettiva esigenza di una riorganizzazione aziendale destinata a influire sulla posizione di lavoro ricoperta dalla lavoratrice stessa.
La Suprema Corte ha confermato la pronuncia di appello, impugnata dal datore di lavoro, con cui la Corte di merito aveva accertato l’illegittimità del demansionamento della lavoratrice dipendente assegnata a mansioni di operatrice di call center dopo aver la medesima svolto, per un lungo arco temporale (dall’ottobre 2007 all’ottobre 2015), mansioni di team leader. Infatti, come ha spiegato la Corte di legittimità, tale decisione trova giustificazione nel fatto che la parte datoriale non aveva fornito alcuna prova circa l’asserita necessità di ridurre il numero complessivo dei team leader dell’azienda: anzi, detto assunto veniva smentito dalla circostanza che, in epoca successiva al demansionamento in discorso, altri dipendenti della società erano stati assegnati alla mansione di team leader.
Nello specifico, la Cassazione ha affermato che il giudice territoriale aveva correttamente interpretato la norma di cui all’art. 2103 c.c. (come modificata dall’art. 3 del DLgs. n. 81/2015), secondo cui l’assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore “purché rientranti nella medesima categoria legale” è ammessa esclusivamente in ipotesi di comprovata modifica degli assetti organizzativi aziendali tale da incidere sulla relativa posizione. Diversamente, al lavoratore ingiustificatamente demansionato, come nel caso di specie, vanno riassegnate le mansioni in precedenza svolte o altre equivalenti, oltre alla liquidazione del risarcimento del danno dal medesimo patito.
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