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Cooperazione tra Entrate e GdF sull’adempimento collaborativo

L’Agenzia continua a costituire l’interlocutore unico nell’ambito del regime, fermo restando i poteri istruttori della Guardia di Finanza

/ Luca MIELE

Giovedì, 19 giugno 2025

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Uno dei benefici derivanti dall’ingresso nel regime di adempimento collaborativo è quello di assicurarsi, in sostanza, l’esclusione dall’attività di controllo “tradizionale”.

Il Codice di condotta, approvato con il decreto 29 aprile 2024, sul punto, prevede che l’Agenzia delle Entrate pianifichi le proprie attività di controllo secondo criteri di proporzionalità e che frequenza e intensità della stessa sia determinata sulla base del rischio fiscale inerente, inteso come il rischio che il contribuente operi in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario, valutato anche sulla base del comportamento complessivamente tenuto dallo stesso nel corso della procedura” (§ 1.6).

Il medesimo orientamento è ribadito nel protocollo di intesa tra l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza del 20 gennaio 2025, in cui si legge che è obiettivo comune di Agenzia e GdF consolidare il regime di adempimento collaborativo, al fine di concentrare la propria azione di contrasto all’evasione nei confronti dei fenomeni più gravi e dei soggetti connotati da più elevato profilo di rischio.

È necessario altresì che l’intensità e il numero delle attività di controllo siano graduati in funzione del livello di trasparenza dimostrato dai contribuenti e degli investimenti da essi sostenuti per la costruzione del TCF. “In particolare, la fattiva volontà dei contribuenti di accedere a forme di dialogo costanti e preventive con l’amministrazione finanziaria, attraverso l’adesione al regime, esprime in modo attendibile il basso livello di rischio di tali soggetti, con la conseguenza che, riguardo all’attività di analisi per la selezione dei contribuenti da sottoporre ad attività ispettiva, deve presumersi che tali posizioni rivestano un interesse operativo minimo”.

Resta ferma, nei confronti dei soggetti che aderiscono al regime di adempimento collaborativo, l’attività istruttoria che può essere svolta dagli uffici dell’Agenzia e dalla Guardia di Finanza (artt. 33 del DPR 600/73 e 63 del DPR 633/72). Va infatti ricordato che, in base all’assetto normativo vigente, l’Agenzia e, in particolare, l’Ufficio adempimento collaborativo, ha competenza esclusiva relativamente ai controlli e alle attività connesse al regime (c.d. Interfaccia unica), ma i poteri istruttori possono essere svolti anche dalla GdF.

A riguardo, il Codice di condotta prevede, tra i doveri dell’Agenzia delle Entrate, che, nell’attività di programmazione dei propri controlli, la stessa cooperi con le strutture territoriali e, soprattutto, con la Guardia di Finanza, “in modo da assicurare uniformità di indirizzo strategico e operativo, nonché evitare duplicazioni e sovrapposizioni di attività ispettive” (§ 1.7).
E il suddetto protocollo del 20 gennaio 2025 disciplina, all’art. 3, la richiesta di cooperazione avanzata dalla Guardia di finanza con riguardo ai soggetti ammessi al regime di adempimento collaborativo. È, in particolare, previsto che qualora un reparto della GdF, nell’ambito dell’ordinaria attività di istituto, acquisisca, relativamente ai periodi di imposta di applicazione del regime, indizi di evasione, elusione o frode, prima di avviare qualsiasi attività istruttoria, provvede a informare tempestivamente il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, per il tramite del Comando generale.

È, quindi, attivato un adeguato approfondimento “degli aspetti fattuali e giuridici dell’operazione di interesse con l’obiettivo di maturare un condiviso convincimento circa la regolarità o meno della fattispecie esaminata e la conseguente opportunità di avviare un approfondimento istruttorio”. Ovviamente, andrà in primo luogo verificato se il tema di interesse è stato oggetto di interpello abbreviato o comunicazioni di rischio da parte dell’impresa. Il protocollo, quindi, assicura un coordinamento delle attività di Agenzia e GdF con un ruolo centrale che permane in capo alle Entrate.

Gli indizi della GdF devono essere circostanziati e concordanti

Va evidenziato che il medesimo art. 3 del protocollo stabilisce che gli indizi di evasione, elusione o frode di cui vengono a conoscenza i reparti della GdF devono essere circostanziati e concordanti. Si tratta di una previsione significativa che risulta ancor più importante se confrontata con quanto stabilito dall’art. 7 del protocollo concernente la richiesta di collaborazione avanzata dalla Guardia di Finanza con riguardo ai soggetti che hanno optato per l’adozione del TCF (c.d. TCF volontario). Infatti, in tal caso si fa riferimento a “elementi indicativi di possibili fenomeni di evasione, elusione o frode...” acquisiti da un reparto della GdF, senza alcun riferimento agli indizi circostanziati e concordanti.

Da ultimo, l’art. 5 del protocollo di intesa regola la richiesta di collaborazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, prevedendo che questa possa chiedere alla GdF di fornire la propria collaborazione nei confronti dei contribuenti ammessi al regime, con riferimento alle seguenti attività: svolgimento delle analisi del profilo di rischio delle imprese; eventuale esecuzione di controlli mediante l’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 32 e 33 del DPR 600/73 e 51 secondo comma e 52 del DPR 633/72.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate continua a costituire l’interlocutore unico nell’ambito del regime di adempimento collaborativo, in coerenza con quanto previsto a livello OCSE sulla cooperative compliance, fermo restando i poteri istruttori della Guardia di Finanza necessariamente esercitati in coordinamento con l’Agenzia stessa.

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