Debiti ereditari deducibili dall’imposta di successione anche se accertati dopo decenni
L’importante è che fossero esistenti alla data di apertura della successione
Non è così raro che debiti del defunto vengano accertati anche molti anni dopo la sua morte. Ad esempio, ciò può capitare quando il debito emerge in esito a una controversia giudiziaria.
Un caso simile è oggetto della sentenza n. 17821, depositata ieri dalla Cassazione, che si interroga sulla deducibilità dalla base imponibile dell’imposta di successione, di un debito accertato in giudizio ben 12 anni dopo la morte del defunto debitore.
Per comprendere appieno il contenuto della decisione è utile ripercorrere gli elementi essenziali del caso giunto all’esame della Suprema Corte.
Nel 1990, a seguito dell’apertura della successione di Tizio, i suoi eredi corrispondevano l’imposta di successione.
Nel 2002, una sentenza del Tribunale civile accertava, però, che il defunto Tizio era debitore di una grossa somma verso la Signora Caia, in conseguenza del danno causatole per non averle consentito di godere di un immobile di cui era comproprietaria.
A tal punto, gli eredi di Tizio, rilevando che, per effetto del debito del defunto accertato in giudizio (caduto anch’esso in successione) il passivo ereditario superava l’attivo, chiedevano il rimborso dell’imposta di successione a suo tempo versata.
L’Agenzia delle Entrate si opponeva a tale richiesta e la questione giungeva all’esame delle Corti di merito che, invece, ritenevano spettante il rimborso.
La Cassazione, con la sentenza depositata ieri, conferma l’impostazione accolta dai giudici di merito, ritenendo infondati i motivi di ricorso prospettati dall’Agenzia.
Secondo la Corte, infatti, l’Amministrazione finanziaria propone una lettura delle norme dettate dal DLgs. 346/90 in tema di deducibilità dei debiti del defunto non condivisibile né sotto il profilo letterale, né dal punto di vista teleologico.
In primo luogo, secondo i giudici di legittimità, è necessario prendere in considerazione l’art. 20 del DLgs. 346/90, a norma del quale le “passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione e dalle spese mediche e funerarie indicate nell’art. 24”. Ne deriva che il presupposto essenziale affinché le passività siano deducibili è costituito dalla loro “esistenza alla data di apertura della successione”, mentre – diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia – ciò non significa anche che all’apertura della successione ne debba essere già accertato l’ammontare.
Non può essere interpretato in questo modo l’art. 21 del DLgs. 346/90, che, nello specificare (unitamente ai successivi articoli, fino al 24) le condizioni di deducibilità, sancisce che i “debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo”. Dal punto di vista letterale, l’utilizzo della congiunzione “o” di tipo disgiuntivo evidenzia come sia ammessa la deducibilità:
- non solo dei debiti ereditari risultanti da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione;
- ma anche dei debiti ereditari risultanti da provvedimento giurisdizionale definitivo (purché, come richiesto dall’art. 20, siano accertati quali già “esistenti” alla data di apertura della successione.
La Corte aggiunge che questa lettura “è l’unica che permette di dare significato alla disposizione di cui all’art. 23, comma 4” del DLgs. 346/90, che, nello specificare i limiti temporali per la dimostrazione di debiti non indicati in dichiarazione di successione, con specifico riferimento ai debiti “risultanti da provvedimenti giurisdizionali” richiede che siano dimostrati entro “sei mesi dalla data in cui il relativo provvedimento giurisdizionale o amministrativo è divenuto definitivo”.
Infine, la Cassazione rileva che l’interpretazione proposta dall’Amministrazione, “secondo la quale potrebbero essere dedotti i debiti rinvenienti da provvedimenti giurisdizionali solo allorquando essi siano antecedenti all’apertura della successione, comporterebbe l’effetto di riflettere sulla sussistenza di una passività deducibile i tempi processuali per la definizione del giudizio sul debito del de cuius, sicché il medesimo potrebbe essere deducibile solo se la sentenza intervenga sino al giorno della sua morte e non se essa intervenga, per avventura, anche solo il giorno successivo. Il che non solo è palesemente irragionevole, ma si pone in aperto contrasto con” l’art. 23 comma 4.
La Corte conclude, quindi, che è deducibile dall’attivo ereditario anche un debito del de cuius accertato con sentenza 12 anni dopo la sua morte, purché, però, gli eredi, entro 6 mesi dalla definitività della sentenza che ha acclarato il debito del defunto, ne dimostrino l’esistenza.
Infine, viene chiarito che dalla data di definitività della sentenza decorre il termine di 3 anni a disposizione degli eredi per chiedere il rimborso dell’imposta di successione pagata in eccesso.
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