L’omesso deposito delle ricevute fa decorrere il termine lungo di impugnazione
Viene «punita» la mancata osservanza dell’art. 38 comma 2 del DLgs. 546/92
Nel processo tributario, ai fini del decorso del termine “breve” d’impugnazione il mancato rispetto delle formalità previste ai sensi dell’art. 38 del DLgs. 546/92, ovvero della prova da parte del notificante del loro rispetto, anche a mezzo di ricevuta rilasciata dalla segreteria della Corte tributaria, rende invece applicabile il diverso termine c.d. “lungo” di impugnazione ex art. 327 c.p.c.
A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27758 del 17 ottobre 2025 con riguardo a un procedimento cartaceo, ante telematizzazione del processo avvenuta nel 2019.
Si ricorda che la notifica della sentenza a opera di una delle parti del processo comporta la decorrenza del termine “breve” per impugnare.
L’art. 38 comma 2 del DLgs. 546/92 stabilisce che le “parti hanno l’onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell’articolo 16 depositando, nei successivi trenta giorni, l’originale o copia autentica dell’originale notificato, ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l’inserisce nel fascicolo d’ufficio”.
Nel caso deciso emergeva che, operata la notifica della sentenza, nei successivi trenta giorni il notificante non provvedeva al deposito presso la segreteria dell’originale o di copia autentica dell’originale notificato ovvero di copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento.
All’uopo la parte pubblica rilevava che il mancato deposito si evinceva anche dal fatto che non risultava neanche la richiesta per il rilascio di copia autentica della sentenza, né tanto meno l’assolvimento della relativa imposta di bollo.
La Cassazione, ha ribadito il seguente principio: “Nel processo tributario, ai fini del decorso del termine «breve» d’impugnazione, ai sensi dell’art 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella versione «ratione temporis» applicabile successiva alle modifiche apportate del d.l. n. 40 del 2010 (conv., con modif., dalla l. n. 73 del 2000), la sentenza può essere notificata anche mediante servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento, nel rispetto delle formalità previste dallo stesso art. 38. In mancanza di prova da parte del notificante, anche a mezzo di ricevuta rilasciata dalla segreteria della Commissione tributaria, del rispetto delle suddette formalità, si rende invece applicabile il diverso termine cd. «lungo» di impugnazione, di cui all’art. 327 c.p.c.”.
La Suprema Corte ha spiegato che intende dare continuità all’orientamento che ritiene le formalità procedimentali, previste dall’art. 38 citato, necessarie al fine del decorso del termine breve di impugnazione, conseguendone automaticamente in caso di inadempimento il decorso del termine di impugnazione lungo previsto dall’art. 327 c.p.c.
Infatti, secondo i giudici di legittimità la norma procedimentale esime da ogni valutazione circa lo scopo della medesima e il giudice non potendo fare tali valutazioni non può negare rilevanza alle formalità imposte della legge.
Nello stesso segno si segnalano le pronunce della Cassazione dell’8 novembre 2017 n. 26449, e del 15 settembre 2021 n. 24791.
Tuttavia, sul punto l’orientamento non è affatto univoco.
Infatti di recente, sebbene a fronte di un processo telematizzato, la Cassazione ha ritenuto che anche se è stato omesso il deposito della ricevuta di consegna della sentenza notificata per PEC e che questo è in contrasto con l’art. 38 comma 2 del DLgs. 546/92, non vi è alcuna sanzione correlata all’inadempimento se la notifica è stata ritualmente eseguita (Cass. 27 febbraio 2025 n. 5155 idem le pronunce nn. 4222/2015, 4616/2018 e 16554/2018).
A questo punto non si può che confidare in una remissione alle Sezioni Unite, oppure auspicare un intervento legislativo risolutore.
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