La tesi per cui l’adesione non si estende ai coobbligati apre delicati scenari
Le somme non possono essere pretese due volte dall’Erario
Varie sentenze, anche recenti, hanno sancito che l’accordo tra l’Erario e il contribuente perfezionato non si estende ai coobbligati solidali.
Così è stato affermato per l’accertamento con adesione (Cass. 17 luglio 2025 n. 19989) e per l’adesione ai verbali di constatazione (Cass. 21 febbraio 2024 n. 4636). Relativamente alla (ormai abrogata) mediazione fiscale, identico principio è stato sostenuto, peraltro in modo netto, dalla prassi doganale (circ. Agenzia Dogane e Monopoli 23 dicembre 2015 n. 21).
In altre occasioni, è stato affermato che, perfezionato l’accordo tra le parti (il perfezionamento coincide con il pagamento della prima rata per l’adesione e con la sottoscrizione del verbale per la conciliazione giudiziale), le somme possono essere riscosse anche nei confronti del coobbligato che non ha aderito ma devono riguardare il quantum raggiunto in sede di adesione/conciliazione, e non il quantum oggetto dell’avviso di accertamento in origine notificato (per tutte, Cass. 7 aprile 2022 n. 11327).
Quest’ultimo principio va condiviso ed è coerente con la struttura delle obbligazioni solidali. Invece, sostenere che l’accordo, vuoi di adesione, vuoi di conciliazione giudiziale, non si estende al coobbligato che non lo ha sottoscritto sembra mal adattarsi al processo tributario.
Sebbene più coobbligati abbiano impugnato l’atto, i processi formalmente sono molteplici ma l’atto rimane pur sempre unico. Gli effetti del richiamato principio devono quindi essere attentamente contestualizzati.
Ipotizziamo che le parti contraenti ricevano un accertamento di maggior valore ai fini dell’imposta di registro che vanta una pretesa per 100, e che entrambe impugnino.
La parte venditrice stipula una conciliazione giudiziale per effetto della quale la pretesa scende a 50. Per semplicità, supponiamo che le somme vengano pagate per intero.
Aderendo alla tesi della Cassazione, la cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo nei confronti del coobbligato che ha sottoscritto la conciliazione.
L’altro, salvo dichiari di voler beneficiare della conciliazione, può continuare nel processo.
Ci si chiede, a questo punto, quale sia, in concreto, l’effetto della sentenza che accoglie o respinge il ricorso.
Se il ricorso è accolto, non ci sono particolari problemi. Ove il coobbligato nulla avesse pagato, la situazione è chiusa mentre se avesse pagato spetterebbe la restituzione intera degli importi.
Invece, se il ricorso è respinto in via definitiva, per forza di cose l’Erario può chiedere non le intere imposte ma solo 50, ovvero la parte di atto “originario” non intaccata dalla conciliazione, oltre alla differenza di interessi e sanzioni (ma su quest’aspetto ci sarebbe da discutere, in quanto se gli effetti della conciliazione non si estendono, coerentemente il Fisco potrebbe addirittura pretendere le sanzioni piene su tutti gli importi).
Queste dovrebbero essere le conseguenze del principio enunciato dalla Cassazione, tenendo presente che il tutto è destinato a complicarsi e non di poco laddove l’adesione riguardi, ad esempio, avvisi di classamento, accertamenti sul riporto delle perdite di impresa o, più in generale, fattispecie i cui effetti si estendono a diverse imposte o a diversi periodi di imposta.
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