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LAVORO & PREVIDENZA

Va risarcito il dipendente a cui non è concesso di raggiungere in tempo il bagno

Datore condannato al risarcimento dei danni di natura non patrimoniale per lesione alla dignità personale del lavoratore, in violazione dell’art. 2087 c.c.

/ Federico ANDREOZZI

Martedì, 13 maggio 2025

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L’art. 2087 c.c. sancisce l’obbligo, in capo all’imprenditore, di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. È, pertanto, chiamato al risarcimento del danno il datore di lavoro che non predisponga strumenti idonei a prevenire situazioni lesive per la dignità del lavoratore.
Le misure che il datore è chiamato ad adottare possono essere delineate tassativamente dalla legge, possono essere genericamente richieste dalla comune prudenza o, ancora, possono essere adottate in relazione ai casi concreti che, di volta in volta, si possono presentare.

A offrire un esempio di responsabilità datoriale per violazione dell’art. 2087 c.c. è l’ordinanza n. 12504/2025, con cui la Cassazione ha confermato la condanna irrogata dai giudici di prime e seconde cure alla datrice di lavoro, nell’ambito di una fattispecie che, per la sua singolarità, merita di essere esaminata.
In particolare, un lavoratore, durante il proprio turno di lavoro, avvertiva il bisogno di recarsi presso i servizi igienici; per disposizione aziendale, tuttavia, i dipendenti non potevano abbandonare la propria postazione, se non con la previa autorizzazione e sostituzione da parte di un team leader. Stante l’urgenza del bisogno avvertito e per rispettare la procedura, il lavoratore, mediante un dispositivo di emergenza, chiamava a più riprese il team leader, ma invano; si rivelavano altresì inutili le richieste di autorizzazione avanzate ad altri team leader, che si trovavano vicino alla sua postazione.

Giunto, quindi, all’estremo della resistenza e in assenza di alternative, il lavoratore abbandonava la postazione e correva nella direzione dei servizi igienici, non riuscendo però a evitare di orinarsi nei pantaloni. Nonostante ciò, il dipendente manifestava la volontà di riprendere – e di fatto riprendeva – la propria attività lavorativa, domandando il permesso di cambiarsi in infermeria; permesso che, tuttavia, non veniva accordato. Solo durante la pausa il lavoratore riusciva finalmente a cambiarsi: in corridoio, dinanzi agli occhi di altri lavoratori, uomini e donne.

Così accertati i fatti, i giudici di prime e di seconde cure condannavano la datrice di lavoro al risarcimento dei danni di natura non patrimoniale – quantificati in 5.000 euro – nei confronti del lavoratore, per la lesione alla dignità personale di quest’ultimo, in violazione di quanto disposto dall’art. 2087 c.c.

La società datrice di lavoro presentava pertanto ricorso in Cassazione, mettendo in risalto, tra le altre cose, l’eccezionalità della situazione venutasi a creare. Tale carattere eccezionale, secondo la datrice, avrebbe dovuto determinare l’esclusione della responsabilità della stessa; esso non avrebbe dato, cioè, all’organizzazione datoriale, la possibilità di adoprarsi per impedire il verificarsi dell’evento.

Investita della controversia, la Cassazione conferma quanto statuito nei precedenti gradi di giudizio, dichiarando le domande del datore di lavoro inammissibili.
I giudici di legittimità evidenziano, infatti, come le critiche avanzate dalla datrice non fossero incentrate sul significato normativo e sulla portata applicativa dell’art. 2087 c.c., quanto piuttosto su una diversa valutazione della fattispecie, non coincidente con quella realizzata dai giudici di merito; questi ultimi, infatti, avevano ritenuto non eccezionale “l’impellente necessità fisiologica del lavoratore”, accertando, così, la carenza di un’adeguata organizzazione datoriale, tale da impedire l’evento.

In altri termini, la Corte sottolinea come le critiche datoriali si risolvessero in meri dissensi alla valutazione operata dal giudice territoriale con riferimento alla violazione dell’obbligo di sicurezza, sollecitando una valutazione, pertanto, estranea ai compiti del giudice di legittimità.

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