Convenzioni matrimoniali con dubbi con alcuni beni fuori dalla comunione
Con la comunione convenzionale è possibile derogare alle regole della comunione legale
Con il matrimonio, il regime patrimoniale automaticamente applicato ai coniugi è quello della comunione dei beni (art. 159 c.c.), salvo che questi abbiano stipulato una diversa convenzione matrimoniale.
Per convenzione matrimoniale si intende ogni accordo volto a modificare il regime di comunione legale (ex art. 210 c.c.) o escluderne l’applicazione, optando per il regime di separazione dei beni (art. 215 c.c.).
Le convenzioni matrimoniali diverse dal regime di separazione, peraltro, non sono così diffuse nella prassi; verosimilmente, questo dato è motivato anche dal fatto che numerose sono le incertezze sulla tipologia di modifiche che possono essere apportate al regime di comunione con le convenzioni.
Preliminarmente, è utile distinguere tra convenzioni matrimoniali programmatiche e dispositive: le prime ricomprendono quelle convenzioni con cui i coniugi regolano in astratto le vicende di acquisti futuri, specificandone le regole o individuando i beni che saranno soggetti a un certo regime. Trattasi di convenzioni che non obbligano ad un successivo comportamento esecutivo, ma determinano l’ingresso o meno di un bene in comunione al momento dell’acquisto.
Le convenzioni dispositive, invece, sono quelle con cui i coniugi dispongono l’inclusione o l’esclusione di singoli beni dall’oggetto della comunione legale, mediante atti traslativi di diritti o ad atti di destinazione, che esauriscono i loro effetti all’atto dello scambio del consenso. Queste lasciano intatto il regime di comunione legale vigente con riferimento agli acquisti futuri e ai residui beni che già ne fanno parte.
Fatta tale precisazione, è utile interrogarsi sulla possibilità che, mediante tali tipologie di convenzioni, i coniugi amplino o, al contrario, riducano l’oggetto della comunione legale.
Quanto alle convenzioni c.d. “ampliative”, alcuni autori dubitano della possibilità di stipulare convenzioni di tipo programmatico. Queste, infatti, costituirebbero una liberalità o un atto dispositivo a titolo gratuito di diritti su beni futuri non ancora esistenti nelle realtà patrimoniali dei singoli coniugi, e sarebbero nulle ex art. 771 c.c. Per la tesi favorevole, invece, l’art. 771 c.c. non si applicherebbe al caso in questione, non essendo le convenzioni matrimoniali atti liberali o gratuiti, bensì atti a causa familiare.
Anche l’ammissibilità di convenzioni che riducono l’oggetto della comunione (c.d. convenzioni di esclusione) è controversa. Sono perlopiù ritenute lecite le c.d. convenzioni programmatiche di esclusione, mentre è incerta la possibilità di stipulare convenzioni di esclusione di tipo dispositivo, con cui i coniugi opererebbero un’esclusione “chirurgica” di singoli beni già in comunione. In particolare, la tesi negativa si fonda sul fatto che l’unica ipotesi legislativamente ammessa di convenzione dispositiva di esclusione sarebbe quella di cui all’art. 191 c.c. ultimo comma concernente l’azienda coniugale. Inoltre, l’esclusione di singoli beni rischierebbe di svuotare di contenuto la comunione legale, compromettendo il sistema legale accettato dai coniugi.
Per la tesi estensiva, l’art. 191 c.c. non impedirebbe di estromettere anche altri beni dalla comunione legale, in quanto tale norma si limiterebbe a imporre una forma solenne per l’esclusione dell’azienda. Per gli altri beni non sarebbe necessaria una forma specifica, salvo quelle legate alla natura del bene.
Tale posizione sembra avvalorata anche da alcune decisioni della Cassazione (Cass. 24 febbraio 2004 n. 3647 e Cass. 14 agosto 2020 n. 17175) secondo cui i coniugi in regime di comunione legale, per effettuare un acquisto in regime di separazione, dovrebbero “previamente stipulare una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, anche per il solo bene in questione, ai sensi dell’art. 162 c.c. sottoponendola alla specifica pubblicità prevista”.
Propende per un’interpretazione estensiva delle norme in tema di convenzioni matrimoniali (siano esse ampliative o di esclusione) anche il Consiglio nazionale del Notariato nello Studio n. 115-2023/C, con l’obiettivo di favorire il recupero della figura in questione. Al tema della pubblicità delle convenzioni è dedicato, inoltre, lo Studio n. 82-2024/C.
Va, in ogni caso, tenuto presente che operano dei limiti alla possibilità di stipulare convenzioni matrimoniali, che traggono origine, in primo luogo, dal principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, sancito dall’art. 29 Cost. e dall’art. 143 c.c., il quale implica che le convenzioni matrimoniali non possano stabilire condizioni di diseguaglianza tra i coniugi.
Sono, in secondo luogo, esclusi dalla comunione anche i beni di cui alle lettere c), d), e) dell’art. 179 c.c. (c.d. beni personalissimi), vale a dire quelli di uso strettamente personale, quelli che servono all’esercizio della sua professione, e i risarcimenti o le indennità derivanti da incidenti, infortuni o inabilità al lavoro.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41