Dalla Consulta limiti alla preclusione probatoria
Vietato chiedere documenti già in possesso degli uffici come le fatture elettroniche
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 137 depositata ieri, 28 luglio 2025, ha sancito che le questioni di legittimità dell’art. 32 commi 4 e 5 del DPR 600/73 non sono fondate, a condizione, però, che la c.d. preclusione probatoria sia interpretata in senso restrittivo.Ai sensi dell’art. 32 comma 4 del DPR 600/73 “le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.
In merito agli accessi sostanziali si veda l’art. 52 comma 5 del DPR 633/72, formulato in modo assai simile: “I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”.
In primo luogo, la Corte Costituzionale conferma quello che, ormai da anni, è il diritto vivente. Pertanto, affinché la preclusione probatoria possa operare è necessario vi sia stata specifica richiesta, non essendo sufficiente che il contribuente a fronte di una richiesta generica non abbia prodotto documenti poi esibiti in sede giudiziale, come dice la Consulta, “secondo la tecnica della cosiddetta «pesca a strascico»”; gli operatori tributari hanno inoltre l’obbligo di informare il contribuente delle conseguenze della mancata esibizione (per tutte, Cass. 18 luglio 2024 n. 19884 e 13 febbraio 2024 n. 3958).
Relativamente all’elemento soggettivo, i giudici costituzionali specificano che si è assistito a una sorta di tendenziale allineamento tra l’art. 32 del DPR 600/73 e l’art. 52 del DPR 633/72, nel senso che per entrambi è necessario il dolo del contribuente, non essendo sufficienti le condotte colpose. Nel punto 3.2 della sentenza i giudici affermano che tale allineamento è necessario, “poiché non è ragionevole ritenere che le due ipotesi normative, in fondo differenziate solo per la modalità della verifica (a seguito dei controlli a tavolino dell’amministrazione finanziaria o presso la sede del contribuente), abbiano presupposti applicativi diversi l’una dall’altra”.
In realtà, la necessità che il rifiuto sia doloso non è proprio pacifica in giurisprudenza. Esiste un orientamento, non richiamato nella sentenza n. 137 di ieri, secondo cui solo nel caso dell’art. 52 del DPR 633/72 serve il dolo, essendo sufficiente la colpa nelle c.d. indagini a tavolino (Cass. 5 aprile 2025 n. 9001 e 10 novembre 2023 n. 31345).
Questo orientamento sembra da ritenersi superato alla luce della pronuncia di ieri.
Il contribuente non deve autoaccusarsi in ragione del principio nemo tenetur se detegere, quindi “si deve ritenere, valorizzando l’espressione utilizzata dal legislatore, che la preclusione probatoria operi solo per gli elementi informativi che hanno un contenuto univocamente «a favore del contribuente», da intendersi come quelli che, ove immediatamente consegnati, avrebbero potuto impedire un accertamento ovvero ridurre la portata dell’eventuale pretesa dell’amministrazione finanziaria”.
Insomma alcuna preclusione si verifica se il contribuente non ha esibito la contabilità nera. Certo, almeno nella maggioranza delle ipotesi non c’è interesse a produrla, ma non si può escludere che dalla stessa o da altri documenti (i c.d. brogliacci) possano emergere altresì elementi a favore del contribuente.
Viene poi ricordato che, anche per effetto dell’art. 6 della L. 212/2000, non possono essere chiesti documenti già in possesso degli uffici, precetto spesso “dimenticato” dai verificatori.
Per la Corte Costituzionale, “In forza dell’evoluzione digitale e normativa che ha condotto alla creazione di nuove banche dati, come quella relativa alle fatture elettroniche, non possono essere richiesti al contribuente elementi informativi che l’amministrazione finanziaria potrebbe ottenere semplicemente interrogandole” (punto 7.2 della sentenza).
Relativamente a quest’ultimo aspetto (di ciò la sentenza n. 137 tuttavia non parla), a parte il lampante caso delle fatture elettroniche, deve essere il contribuente a dimostrare che uno specifico documento o uno specifico dato era già in possesso degli uffici, ad esempio dimostrando che era stato fornito durante l’istruttoria finalizzata all’adesione di un diverso anno di imposta.
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