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Giovedì, 31 luglio 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Riduzione del capitale esuberante con differenti effetti in capo al socio

/ Sara BERNARDI e Gianluca ODETTO

Giovedì, 31 luglio 2025

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Le operazioni di riduzione del capitale per esuberanza possono comportare differenti effetti in capo ai soci, anche in relazione alla tipologia delle riserve utilizzate all’atto dell’effettuazione dell’aumento gratuito del capitale stesso.

Ai fini dell’inquadramento della tematica, che coinvolge tanto profili civilistici quanto fiscali, è opportuno richiamare la disciplina di riferimento.
Lato civilistico, la disciplina è quella di cui agli artt. 2442 e 2481-ter c.c. che stabiliscono il principio in base al quale è possibile aumentare il capitale a titolo gratuito imputando ad esso le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.

Lato fiscale, la disciplina è delineata dall’art. 47 commi 6 e 7 del TUIR in base ai quali:
- in caso di aumento gratuito di capitale con imputazione di riserve di utili (diverse da quelle di capitale di cui all’art. 47 comma 5 del TUIR), la successiva riduzione per esuberanza è prioritariamente imputata a tali riserve ed è considerata distribuzione di utili;
- la riduzione per esuberanza genera, in termini generali, un reddito in capo al socio per la parte delle somme (o valore normale dei beni assegnati) che eccede il costo fiscale della partecipazione annullata.

Dal combinato disposto delle due norme si potrebbero, quindi, prospettare tre differenti situazioni.
Nell’ipotesi in cui sia stato effettuato l’aumento gratuito di capitale utilizzando riserve di utili, e il socio riceva somme (o beni) di importo pari al costo della partecipazione, la riduzione per esuberanza ha natura di distribuzione di utile, per la parte corrispondente alle riserve di utili imputate a capitale (considerate prioritariamente utilizzate).

Nell’ipotesi, poi, in cui sia stato effettuato l’aumento gratuito di capitale utilizzando sempre riserve di utili, e il socio riceva somme (o beni) di importo (o valore) superiore al costo della partecipazione, la riduzione per esuberanza avrebbe natura di distribuzione di utile sia per la parte corrispondente alle riserve di utili imputate al capitale (art. 47 comma 6 del TUIR) sia per l’eccedenza delle somme (o valore dei beni) rispetto al costo fiscale della partecipazione (art. 47 comma 7 del TUIR).

Nella diversa ipotesi in cui non sia stato effettuato alcun aumento gratuito del capitale con imputazione di riserve di utili (o sia stato fatto utilizzando sovraprezzi o versamenti dei soci), e il socio riceva somme (o beni) di importo superiore al costo della partecipazione, solo l’eccedenza assumerebbe natura di utile tassato in capo al socio (sempre in base all’art. 47 comma 7 del TUIR).

Non tassata la “compensazione” di un credito

È in tale ultima fattispecie che rientrerebbe anche l’ipotesi (non del tutto inusuale) di riduzione del capitale sociale avente quale contropartita il venir meno di un credito verso soci, sorto in ragione di eventuali differenze da conferimento.
Nel dettaglio, si ricorda che la disciplina civilistica (con riferimento, ad esempio, alle società per azioni) di cui all’art. 2343 comma 4 c.c. prevede che, laddove il valore dei beni o dei crediti conferiti risulti inferiore di oltre un quinto rispetto al valore (inizialmente asseverato dalla perizia di stima) per cui avvenne il conferimento, la società debba ridurre proporzionalmente il capitale.

La stessa disciplina dispone, purtuttavia, che il socio conferente possa (in alternativa) versare la differenza in denaro o recedere dalla società.
Nel primo caso, nelle more del versamento sorge un credito in capo alla società.
In tale ipotesi, si osserva, è la stessa giurisprudenza (Trib. Milano 13 febbraio 2020 n. 1368) a confermare, nel caso di conferimento in natura di beni di valore inferiore al capitale nominale sottoscritto, la possibilità per la società di continuare ad esercitare la propria attività, rimanendo titolare di tale credito verso i soci tenuti a versare la differenza in denaro (o comunque a sanare la minusvalenza).

In tal caso, l’eventuale successiva riduzione del capitale per esuberanza non comporterebbe comunque distribuzione di utili, né il sorgere di una componente di reddito in capo ai soci.
Ciò in quanto la riduzione del capitale sociale esuberante avrebbe, come contropartita, la compensazione del credito, valutato al suo valore nominale, non emergendo componenti di reddito da iscrivere a Conto economico e da assoggettare a tassazione.

Nel dettaglio, e come risulta dallo stesso principio contabile OIC 28 (§ 23), la riduzione del capitale sociale (ad esempio, per recesso di un socio) comporta il sorgere di un’obbligazione della società nei confronti dei soci, da cui l’iscrizione di un debito, non comportando componenti che transitano a Conto economico: nella specifica fattispecie, tale debito andrebbe ad estinguersi per confusione con il credito vantato verso i soci stessi.

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