Nella composizione negoziata finanza esterna a supporto della continuità
Similitudini con il concordato preventivo con continuità indiretta
La recente ordinanza del Tribunale di Milano 3 luglio 2025 n. 6910 ha ribadito che la composizione negoziata della crisi (CNC) non può utilizzarsi nel caso in cui non vi sia prospettiva di continuità e il piano di risanamento predisposto abbia finalità liquidatorie.
Il caso esaminato dal Tribunale si presentava abbastanza “estremo”: società da tempo in liquidazione, priva di dipendenti, l’unica attività era rappresentata da una consulenza per un anno resa dall’amministratore unico.
Le norme che, immediatamente, supportano questa posizione sono l’art. 12 del DLgs. 14/2019, CCII (il risanamento deve risultare ragionevolmente perseguibile) e il successivo art. 17 comma 5 (l’esperto deve costantemente vigilare sulla sussistenza di dette prospettive di risanamento).
Obiettivo della composizione negoziata è, al termine del percorso di risanamento, la prosecuzione dell’attività di impresa.
In questo contesto sono contemplate due forme di continuità: quella diretta, in cui è l’impresa (lo stesso soggetto giuridico entrato in CNC) a proseguire la propria attività, e quella indiretta, in cui vi è un trasferimento dell’attività dal soggetto giuridico in crisi a un nuovo imprenditore.
Potrebbe dirsi, quindi, che la composizione negoziata della crisi ha come obiettivo la continuità dell’azienda, di cui all’art. 2555 c.c., e non dell’impresa, giacché è la sopravvivenza di quest’ultima a rappresentare condizione necessaria e sufficiente per un fisiologico utilizzo dell’istituto.
La continuità indiretta, peraltro, è la soluzione consigliata (se non l’unica possibile) quando il test pratico per la verifica della perseguibilità del risanamento indica che il margine operativo lordo “a regime” è tale da consentire il ripianamento dello stock di debito da ristrutturare in non meno di 5 o 6 anni. In alcuni casi, inoltre, quando l’EBITDA e/o il MOL sono negativi, il calcolo dell’indice non si rende nemmeno possibile e, purtuttavia, non mancano imprese che, in tale situazione, accedono alla CNC e ne escono con successo.
In caso di MOL (o EBITDA) negativo ci si può chiedere se la continuità può essere resa possibile non solo dal ripristino di flussi di cassa positivi e congrui generati dalla gestione caratteristica (dal core business), ma anche da altre fonti: la finanza esterna (ad esempio apportata dai soci) o la dismissione di asset la cui cessione non pregiudica la continuità.
Nei concordati preventivi in continuità indiretta, a meno di non ricorrere ad affitti d’azienda “ponte”, è quasi sempre necessaria la continuità diretta, nelle more che si creino le condizioni di fatto e di diritto per procedere al trasferimento dell’azienda. In tali situazioni è piuttosto raro che l’EBTDA generato dalla gestione caratteristica e corrente sia tale da non arrecare ulteriore pregiudizio ai creditori e, soprattutto, da garantire l’integrale e tempestivo pagamento dei debiti della continuità, considerati – nella loro generalità – prededucibili.
La finanza esterna apportata dai soci a integrazione dei flussi di cassa della continuità può rappresentare in questo caso una soluzione che consente di traghettare l’azienda in continuità a un nuovo imprenditore. Un tale supporto esterno, oltre che per il rispetto delle norme a tutela dei creditori prededucibili, si rende necessario anche per ragioni di fatto: il mancato pagamento delle retribuzioni alle risorse umane chiave, ad esempio, le può indurre ad accettare altre offerte di lavoro, facendo così venir meno, in re ipsa, la continuità.
Queste considerazioni paiono poter essere trasfuse nelle valutazioni circa la sussistenza di continuità aziendale ai fini della composizione negoziata della crisi: anche in tal caso la finanza esterna può rappresentare un necessario supporto alla continuità aziendale nelle more delle trattative, finalizzate alla definizione delle condizioni del trasferimento del complesso aziendale a terzi e, in funzione di ciò, agli accordi su an e quantum del pagamento ai creditori, soprattutto nei casi in cui alle trattative stesse partecipino solo alcuni creditori e il regolare pagamento degli altri (oltre che dei lavoratori, come richiesto dalla legge) è necessario sia dal punto di vista sostanziale che del rispetto dei doveri di buona fede e correttezza (art. 4 comma 1 del CCII).
Il supporto della finanza esterna può anche essere particolarmente esteso nel tempo, almeno nei casi in cui il ciclo operativo dell’impresa abbia una durata tale da escludere il ripristino dell’equilibrio reddituale nel breve termine (si pensi ad esempio al settore agroalimentare, vincolato dai tempi di stagionatura). In questa prospettiva non si può escludere che detto supporto a beneficio della continuità sia previsto durare per l’intero biennio di cui al contratto ex art. 23 comma 1 lett. a) del CCII e/o essere lo strumento che, ex lett. c) dello stesso comma, consente all’esperto di ritenere che il piano di risanamento – nell’orizzonte temporale considerato – è coerente con la regolazione della crisi.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41