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Vincoli amministrativi risalenti non disapplicano le società di comodo

Il protrarsi dell’inattività, secondo la Cassazione, può rappresentare una scelta sindacabile

/ Luisa CORSO

Martedì, 9 settembre 2025

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Con due ordinanze del 7 settembre 2025 la Cassazione è tornata sulle condizioni oggettive che una società, avente lo status di comodo per insufficienza di ricavi, può far valere al fine di disapplicare le penalizzazioni derivanti dalla relativa disciplina (art. 30 comma 4-bis della L. 724/94).

In particolare, la pronuncia n. 24731/2025 riguarda una società che svolgeva l’attività di imbottigliamento dell’acqua, la quale, con riferimento al periodo di imposta 2014, aveva presentato istanza di disapplicazione della disciplina sulle società di comodo, argomentando che il mancato raggiungimento degli standard di legge (ricavi e reddito minimi) era dovuto, da un lato, agli ingenti capitali necessari per la costruzione dell’opificio e, dall’altro, all’apposizione di vincoli idrogeologici e ambientali sui terreni della società.

I giudici di secondo grado avevano concluso che l’esercizio dell’attività imprenditoriale fosse in concreto preclusa in ragione di circostanze non addebitabili all’imprenditore, quanto piuttosto alla presenza di vincoli ambientali e idrogeologici conseguenti a decisioni assunte dai pubblici poteri.

I giudici di legittimità evidenziano come tale decisione sia errata, in quanto attribuisce rilievo a un vincolo idrogeologico e ambientale risalente rispetto al periodo di imposta interessato, senza verificare se fosse temporaneo e se la società fosse in grado di adattare l’attività in funzione dei vincoli esterni o se avesse definitivamente compromesso l’attività imprenditoriale, integrando un’impossibilità assoluta e definitiva.
Su tale aspetto si rende quindi necessario, secondo la Suprema Corte, un nuovo apprezzamento da parte del giudice del rinvio.

L’ordinanza n. 24732/2025 riguarda, invece, una società, qualificata come non operativa tra gli anni 2006-2009, operante nel settore turistico.

Anche in tal caso, i giudici di secondo grado avevano disapplicato la disciplina, in quanto lo stato di non agibilità e di fatiscenza dell’immobile da adibire ad attività alberghiera risultava provato da perizia tecnica; inoltre, era stata fornita prova dei furti di mobili, arredi e attrezzature. La società aveva tentato, in modo reiterato, di cedere l’intero complesso o di riconvertire l’immobile in diversi monolocali; tuttavia, la perizia tecnica aveva documentato lo stato di degrado del complesso alberghiero, il mancato esercizio dell’attività e le difficoltà di ottenere permessi e licenze.

Accogliendo il motivo di ricorso dell’Agenzia fondato sull’insussistenza delle condizioni oggettive, la Cassazione richiama il proprio orientamento in base al quale il mancato ottenimento delle autorizzazioni amministrative non è di per sé dirimente.
Occorre pertanto vagliare se l’impedimento al conseguimento dell’oggetto sociale, nel caso di specie, non dipenda dalle pur legittime scelte effettuate dall’imprenditore che conservi in vita la società per anni, anche se lo svolgimento dell’attività risulta precluso (cfr. Cass. n. 18657/2024).

In proposito, il ricorso dell’Agenzia lamentava che la parte non aveva spiegato in alcun modo perché, pur avendo la società completato i lavori dai primi anni novanta, la struttura non fosse entrata in funzione, tanto da richiedere, dopo oltre 20 anni di inattività, la completa ristrutturazione.

La Suprema Corte enuncia quindi il principio per cui se il requisito dell’oggettività allude a un impedimento estraneo alla sfera di controllo dell’imprenditore, è altrettanto vero che la condotta di quest’ultimo, rispetto al modo di confrontarsi con l’evento impeditivo, non è sindacabile nella misura in cui sia riconducibile ad una scelta imprenditoriale (per quanto sbagliata), ma non quando il protrarsi di tale evento sia tale da comportare l’impossibilità assoluta e oggettiva di esercitare l’attività di impresa.

Viene quindi ricordato come il protrarsi per anni dell’inattività di una impresa possa sostanziarsi in una scelta soggettiva dell’imprenditore, non riconducibile ad una circostanza oggettiva (Cass. n. 13336/2023).
Da ultimo, in merito alla compatibilità unionale del diniego del diritto alla detrazione IVA previsto dalla disciplina nazionale (art. 30 della L. 724/94), l’ordinanza n. 24732/2025 si conforma al consolidato orientamento per cui ciò che rileva è che, in un determinato periodo di imposta, il soggetto abbia esercitato attività economica, ponendosi in contrasto con la direttiva IVA una disposizione nazionale che preveda la perdita del diritto alla detrazione a fronte del mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi (Cass. n. 24442/2024).

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