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FISCO

L’uso di depositi fiscali fittizi integra il reato di sottrazione al pagamento delle accise

Non sono richieste né l’immissione in commercio né la destinazione al commercio dei prodotti

/ Maria Francesca ARTUSI

Mercoledì, 10 settembre 2025

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Il soggetto attivo del reato di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici (art. 40 del DLgs. 504/1995) può essere chiunque ponga in essere la condotta vietata, compreso il consumatore che possegga prodotti energetici senza averne titolo, ovvero se ne avvalga per usi diversi da quelli consentiti, atteso che non sono richieste per l’integrazione della fattispecie né l’immissione in commercio, né la destinazione al commercio dei prodotti sottratti al pagamento dell’accisa.
Ciò che rileva per l’integrazione della fattispecie, è l’oggettiva esistenza di una obbligazione tributaria (altrettanto oggettivamente evasa) e l’individuazione di colui o coloro che hanno contribuito a sottrarne l’oggetto all’accertamento dell’imposta e/o al relativo pagamento. 
Su una particolare modalità di realizzazione di tale fattispecie criminosa si sofferma la sentenza n. 30436, depositata ieri dalla Corte di Cassazione.

Una società italiana acquistava carburante da altra società straniera e rivendeva il prodotto a due enti che venivano considerati quali società cartiere. Queste a loro volta rivendevano ad una società che si avvaleva del deposito fiscale di altra persona giuridica, creando poi una ulteriore catena di rivendite e depositi fiscali che terminava con la reimmissione in circolazione con “documenti di comodo” e il trasferimento a società schermo che provvedevano a consegnare il prodotto ai punti vendita.

Il trasferimento (fittizio) tra i depositi fiscali avveniva in sospensione di accisa e dunque la consegna alle società cartiere incaricate della distribuzione finale avveniva in evasione dell’imposta.

Su questo tema, i giudici di legittimità precisano che l’uscita del prodotto dal deposito fiscale verso destinazioni ignote, diverse da quelle documentate, comporta il venir meno del regime di sospensione dell’imposta e la sua immediata esigibilità da parte del depositante e dalle altre persone indicate dall’art. 7 comma 1 lett. a) del DLgs. 504/1995. E lo svincolo irregolare di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo si considera sempre immissione in consumo (art. 2 comma 2 lett. a) del medesimo decreto).

Peraltro, qui non rileva la distinzione tra “immissione in libera pratica” e “immissione in consumo” perché si fa riferimento proprio alla immissione in consumo quale condotta integratrice la fattispecie penale contestata. La Cassazione precisa che “un prodotto depositato all’interno di un deposito fiscale autorizzato non è considerato immesso in consumo (e non è perciò ancora soggetto ad accisa) è fatto non controverso ma non si può arrestare l’indagine al fatto statico del deposito perché l’imputazione pone il tema dello svincolo irregolare dal deposito quale immissione in consumo e dunque fatto costitutivo dell’obbligazione fraudolentemente elusa”.

Un’unica persona fisica era stata individuata quale reale ideatore e beneficiario dell’intera operazione, attraverso una società esterovestita con sede a Malta, in un appartamento nel quale avevano sede numerose altre società offshore. Diversi amministratori delle altre società venivano considerati a conoscenza del meccanismo di evasione fiscale perché acquistavano il gasolio ad un costo che sul mercato italiano non avrebbe potuto essere competitivo se non prevedendo, a monte, di realizzare la vendita e il consumo in assenza del pagamento dell’imposta.

Proprio in relazione al consapevole e volontario contributo nella consumazione del reato, afferma la Cassazione, “in tema di evasione dell’IVA mediante il meccanismo delle cd. frodi carosello, che, nelle operazioni di importazione di beni, sfrutta la neutralizzazione dell’IVA all’acquisto mediante l’interposizione di società cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture – con l’esposizione di un’imposta in realtà non versata – destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per creare crediti d’imposta inesistenti, una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei passaggi in cui, in concreto, detto meccanismo si estrinseca, è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, la cui prova principe è costituita dall’esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente” (cfr. Cass. n. 18924/2017).

Si noti che oggi tali condotte (laddove commesse dopo il 4 ottobre 2024) possono integrare anche un illecito per le società ai sensi dell’art. 25-sexiesdecies del DLgs. 231/2001.

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