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PROFESSIONI

Professioni contro il blocco dei pagamenti per irregolarità fiscali

Nel corso delle audizioni sulla manovra commercialisti e consulenti del lavoro hanno chiesto di eliminare o modificare la norma

/ Savino GALLO

Martedì, 4 novembre 2025

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Il mondo delle professioni fa fronte comune contro la norma, di cui all’art. 129 comma 10 del Ddl. di bilancio 2026, che introduce la regolarità fiscale e contributiva come presupposto necessario per il pagamento dei compensi ai liberi professionisti che rendono prestazioni in favore delle amministrazioni pubbliche.

Nel corso delle audizioni di ieri sulla manovra, tanto i commercialisti, quanto i consulenti del lavoro e i rappresentanti di Confprofessioni, si sono detti contrari al provvedimento, chiedendo di eliminarlo dal testo o quantomeno modificarlo in modo sostanziale. Secondo il CNDCEC, la misura “rischia di produrre effetti distorsivi e di introdurre ulteriori complicazioni burocratiche, in quanto non sono previsti né una soglia minima dei debiti del professionista oltre la quale opererebbe il blocco dei pagamenti, né un limite da applicare al compenso da sottoporre al medesimo blocco. Pertanto, anche in presenza di irregolarità minime e di modesto importo scatterebbe, ingiustificatamente, il blocco dei pagamenti dovuti al professionista”.

In più, ci sarebbe il rischio di creare “una palese disparità di trattamento tra i liberi professionisti e gli altri creditori delle amministrazioni pubbliche, come, ad esempio, i dipendenti pubblici”. Senza dimenticare che viene richiesta una documentazione “già in possesso della P.A.” e che “il controllo della regolarità contributiva è già obbligatorio per la partecipazione alle gare per gli appalti pubblici”.

Per i consulenti del lavoro, la norma presenta “profili di criticità interpretativa e applicativa”, che possono creare “un considerevole aggravio burocratico a carico dei liberi professionisti, i quali si troverebbero obbligati a richiedere e produrre, per ciascuna fattura emessa nei confronti di un ente pubblico, una duplice certificazione: da un lato, un’attestazione di regolarità contributiva rilasciata dalla rispettiva Cassa previdenziale di appartenenza; dall’altro lato, un certificato di regolarità fiscale da richiedere all’Agenzia delle Entrate, documento che, peraltro, non trova attualmente riscontro nella prassi amministrativa vigente per i liberi professionisti, generando conseguente incertezza applicativa circa le modalità concrete di adempimento”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Confprofessioni, secondo cui la misura è “sproporzionata, discriminatoria e, soprattutto, irrazionale, ed appare in contrasto sia con le esigenze di semplificazione e accelerazione dei pagamenti dei compensi vantati dai professionisti nei confronti della P.A., sia con la necessità di dare piena attuazione al principio dell’equo compenso del professionista”.

Dai commercialisti, rappresentati nell’occasione dal Tesoriere del CNDCEC, Salvatore Regalbuto, e dal coordinatore dell’area fiscalità della FNC, Pasquale Saggese, sono arrivate ulteriori proposte di modifica, a cominciare dalla norma di cui all’art. 18 del testo, che prevede la tassazione integrale dei dividendi percepiti dai soci in caso di partecipazione, anche indiretta, nel capitale inferiore al 10%.

La misura, hanno spiegato, “introduce una doppia imposizione” e, dunque, andrebbe espunta dal testo. In caso di conferma, invece, “bisognerebbe quantomeno ridurre sensibilmente la soglia al di sotto della quale scatta la tassazione integrale, escludendo dal nuovo regime le partecipazioni in società negoziate in mercati regolamentati”.

Chiesta l’eliminazione anche per la norma che introduce ulteriori limiti alla compensazione dei crediti di imposta, che secondo i commercialisti “risulta ingiustamente penalizzante perché limita il diritto alla compensazione e pregiudica il principio della tutela dell’integrità patrimoniale sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente”. In subordine, andrebbe comunque “limitato l’ambito soggettivo di applicazione alle imprese di grandi dimensioni”, al fine di non penalizzare oltremodo le PMI e i lavoratori autonomi.

“In ogni caso – hanno aggiunto i commercialisti – si ritiene necessaria la modifica della decorrenza delle nuove disposizioni, la quale, anziché essere individuata nelle compensazioni effettuate a decorrere dal 1° luglio 2026, dovrebbe più opportunamente essere limitata agli utilizzi di crediti d’imposta sorti o acquistati successivamente alla data di entrata in vigore della norma”.

Il Consiglio nazionale, inoltre, ha proposto l’introduzione di una specifica disciplina per il trattamento ai fini del reddito di lavoro autonomo dei differenziali positivi derivanti dall’acquisizione di crediti di imposta che, tra l’altro, preveda la loro “rilevanza soltanto per i crediti acquistati dal primo gennaio 2025, superando così evidenti effetti distorsivi nella determinazione del reddito”; e l’inserimento nel testo di una norma di interpretazione autentica sui contributi erogati a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in modo da chiarire “che gli stessi non comportano alcuna limitazione al riporto delle perdite fiscali”. Così facendo, si eviterebbe la “paradossale penalizzazione dei soggetti maggiormente incisi dall’emergenza pandemica”.

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