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IL CASO DEL GIORNO

Divieto di distribuire gli utili della start up innovativa al nodo compensi

/ Maurizio MEOLI e Elisa TOMBARI

Martedì, 4 novembre 2025

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Tra i requisiti cumulativi che una start up innovativa deve possedere per essere definita tale e potersi iscrivere nella sezione speciale del Registro delle imprese, beneficiando così del regime agevolato dedicato, l’art. 25 comma 2 lett. e) del DL 179/2012 richiede che non vi sia, e non vi sia stata in passato, distribuzione di utili.

Tenuto conto che la norma impone una sorta di “compressione” dei diritti del socio – posto che gli utili dovranno essere reinvestiti nell’attività sociale per garantirne lo sviluppo e il superamento della fase iniziale di rodaggio – è importante innanzitutto definire l’estensione di tale divieto.

Come osservato dal MISE con il parere n. 141349/2016, la scelta operata dal legislatore è quella di circoscrivere il divieto di distribuzione degli utili al periodo precedente l’iscrizione nella sezione speciale e a quello corrispondente con l’iscrizione stessa, con la conseguenza che la perdita dello status di start up innovativa autorizza la distribuzione degli utili, benché maturati in regime di iscrizione. Diversamente, infatti, osserva il MISE, il legislatore avrebbe aggiunto al tempo passato e presente (“non distribuisce, e non ha distribuito, utili”) anche l’indicazione del divieto futuro: “e non distribuirà nell’esercizio successivo alla cancellazione”.

Il divieto in esame deve inoltre conciliarsi con il diritto al compenso degli amministratori di cui all’art. 2389 c.c., che, dopo averne rimesso la determinazione allo statuto o all’assemblea (primo comma), al secondo comma prevede che detto compenso possa essere costituito “in tutto o in parte da partecipazioni agli utili…”, con particolare riguardo all’ipotesi in cui un amministratore sia anche socio.

Guardando a quanto normalmente accade nelle start up innovative, in cui i soci sono anche amministratori, nonché forza lavoro “altamente qualificata”, si potrebbero evitare problemi rinunciando ai compensi per l’attività di amministrazione e affidandosi, ove possibile, solo ad un vero e proprio rapporto di lavoro con la società, con retribuzione allineata al relativo CCNL. Questa scelta avrebbe un impatto diretto anche sul requisito “alternativo” della forza lavoro “altamente qualificata”, previsto dall’art. 25 comma 2 lett. h) n. 2 del DL 179/2012, che richiede l’“impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”.

Infatti, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 87/2014 – che si allinea al parere del MISE n. 147538/2014 – la norma consente che l’impiego del personale qualificato possa avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo”, ma la locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” non può scindersi dalla condizione dell’“impiego”; con la conseguenza che gli amministratori-soci possono essere considerati, ai fini del rapporto di cui all’art. 25 comma 2 lett. h) n. 2 del DL 179/2012, soltanto se anche soci-lavoratori o comunque aventi un impiego retribuito nella società, “a qualunque titolo”, diverso da quello organico.

In pratica, se i soci amministratori sono anche impiegati nella società (in qualità di soci lavoratori o “a qualunque titolo”), nulla osta a che risulti verificata la previsione in questione. Al contrario, ove si tratti di meri organi sociali, titolari dell’amministrazione della società, ma non in essa “impiegati”, tale condizione non appare verificata (si veda “Per le start up innovative, calcolo «per teste» della forza lavoro” del 15 ottobre 2014).

Utile ragionevole come base di calcolo per i compensi dell’amministratore

Più problematica, invece, rischia di presentarsi l’ipotesi in cui il socio svolga anche (o solo) attività gestoria retribuita. In tal caso, infatti, il divieto di distribuzione di utili non risulterebbe violato laddove l’utile costituisca semplicemente la ragionevole base di calcolo per il computo dei compensi dell’amministratore, o parte di essi. Tuttavia, la medesima operazione potrebbe essere ritenuta elusiva del requisito di cui all’art. 25 comma 2 lett. e) del DL 179/2012 ove tale base di calcolo fosse priva di ragionevolezza (ciò al pari di quanto accadrebbe in presenza del riconoscimento in via assembleare di compensi fuori mercato).

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