La fiscalità dei dividendi italiani ed esteri si divarica
Prime osservazioni sui possibili effetti dell’art. 18 del Ddl. di bilancio 2026, che rischia di creare spazi per arbitraggi
Sono iniziate, con le audizioni preliminari presso le Commissioni Bilancio congiunte del Senato e della Camera e con le prime proposte dei gruppi di interesse, le “manovre” tese a esplicitare le possibili modifiche alle disposizioni dell’art. 18 del Ddl. di bilancio 2026 in tema di dividendi intersocietari.
La norma in questione, con la rimozione dell’esclusione del 95% per gli utili che derivano da partecipazioni inferiori al 10% (soglia mutuata dall’art. 3 § 1 della direttiva 2011/96/Ue, c.d. “madre-figlia”), determinerà per i dividendi, se approvata, un sistema a due vie basato unicamente su tale parametro.
L’audizione del 6 novembre 2025 della Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio ha, quindi, evidenziato che tale dicotomia andrebbe a sommarsi ad altre già presenti nel sistema, e in primis naturalmente a quella che caratterizza le plusvalenze su partecipazioni (potenziali convitati di pietra della riforma), esenti se rispondono a parametri quali il periodo di possesso e l’iscrizione in bilancio delle azioni o quote (assenti nella proposta riforma sui dividendi), ma non a quello della misura della partecipazione (né in termini di percentuale detenuta, né in termini assoluti).
Si allagherebbe così a macchia di leopardo un sistema in cui le conseguenze fiscali di una determinata scelta (ad esempio, cedere le partecipazioni prima dello stacco dei dividendi o mantenerle in portafoglio) dipendono da parametri non omogenei, con possibili politiche di arbitraggio, pur tenendo conto dell’esistenza delle disposizioni di contrasto al dividend washing.
L’audizione dell’UPB ha così rilevato che, per le partecipazioni almeno pari al 10% le plusvalenze e i dividendi mantengono l’attuale regime (imposizione limitata al 5% del relativo ammontare, per le plusvalenze sempre che le azioni o quote si qualifichino per la participation exemption); per le partecipazioni sotto soglia, invece, potrebbero aversi plusvalenze esenti e dividendi imponibili, così come plusvalenze e dividendi entrambi imponibili (è ciò che accade, ad esempio, per le partecipazioni in società immobiliari, o per le partecipazioni detenute da meno di un anno).
La tabella 4.6 dell’audizione dell’UPB ha proposto alcuni profili comparatistici riguardanti i dividendi tra gli Stati membri dell’Unione europea, non sottoposti ad alcuna forma di armonizzazione e, pertanto, la cui esclusione dall’imponibile è talvolta incondizionata (come attualmente avviene in Italia), talvolta subordinata a una quota minima di possesso della partecipazione e altre volte ad un periodo minimo di possesso della stessa (spesso combinato a sua volta con il requisito dell’entità della partecipazione).
Ulteriori disomogeneità sono rilevate nelle osservazioni formalizzate nel documento di Assonime dell’11 novembre 2025 (§ 1.3), e riguardano i rapporti tra dividendi italiani ed esteri (non “privilegiati”).
A oggi, fatto salvo il prelievo estero definitivo in base alle Convenzioni, il prelievo italiano è sostanzialmente contenuto (di fatto, prossimo allo zero) pur con il limite del 5% alla detrazione dell’imposta estera dovuto alle disposizioni dell’art. 165 comma 10 del TUIR: ad esempio, con una aliquota convenzionale del 15%, su un dividendo lordo di 100 l’imposta estera detraibile è pari a 0,75 (il 5% di 15) e, data un’IRES lorda di 1,20, riduce quest’ultima a un’IRES netta di 0,45.
Tralasciando per un momento l’orientamento giurisprudenziale che ammette la detrazione integrale dell’imposta estera se la Convenzione con l’altro Stato non contempla una falcidia come quella prevista a livello interno dal predetto art. 165 comma 10 (si vedano, ad esempio, le sentenze della C.G.T. II Lombardia n. 215/19/25 e n. 1461/16/25), in un ipotetico futuro in cui i dividendi “sotto soglia” siano integralmente imponibili anche l’imposta estera potrà essere integralmente detratta (fatto che oggi è tale per i soli dividendi “privilegiati”).
Se nell’attuale sistema l’imposizione effettiva italiana del dividendo italiano ammonta all’1,20% e quella del dividendo estero è pari allo 0,45%, dal 2026 l’imposizione effettiva passerebbe rispettivamente al 24% e al 9%, dove quest’ultima tiene conto della detrazione integrale della ritenuta estera ipotizzata nel 15%.
Le distonie potrebbero manifestarsi non soltanto sugli utili inbound, ma anche su quelli outbound: i dividendi italiani non “madre-figlia” corrisposti a società ed enti soggetti a corporate tax residenti in Stati dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo rimangono soggetti al prelievo ridotto dell’1,20%, non essendo toccati dall’art. 18 del Ddl. di bilancio 2026.
Assonime paventa quindi il rischio di costituzione di subholding estere nelle quali convogliare tali dividendi, concludendo per una rivisitazione complessiva della proposta di riforma che tenga conto delle criticità manifestate in queste prime settimane dedicate all’analisi del nuovo testo; le modifiche ipotizzate dovrebbero andare nel senso di differenziare la partecipazione minima tra partecipazioni quotate e non, di introdurre criteri ulteriori a fronte dei quali verrebbe prevista l’imposizione integrale (in primo luogo il periodo di possesso della partecipazione), di coordinare il regime dei dividendi interni e di quelli cross border e di salvaguardare le situazioni in cui il gruppo ha esercitato l’opzione per il consolidato fiscale.
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