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Le Entrate di Bologna hanno recuperato un’evasione di 18 milioni di euro

/ REDAZIONE

Lunedì, 25 ottobre 2010

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Con un fatturato da 13 milioni di euro, un’azienda bolognese attiva nel commercio di componenti informatici dichiarava 15 mila euro di reddito imponibile. Questo grazie all’utilizzo di cartiere che gli permettevano di acquisire crediti IVA inesistenti. A scoprire la maxievasione è stata l’Agenzia delle Entrate di Bologna, che ha contestato alla società un debito nei confronti del fisco di 18 milioni di euro, tra imposte e sanzioni. Lo ha reso noto la DRE dell’Emilia Romagna con un comunicato stampa diffuso oggi.
L’accertamento - spiega il comunicato - finito davanti alla Commissione tributaria provinciale, ha ricevuto la convalida dei giudici, che hanno riscontrato nel comportamento dell’azienda una volontà palesemente fraudolenta.
L’azienda sosteneva di essersi “imbattuta” in acquisti sospetti in totale buona fede e in modo “casuale”. Ma le indagini del fisco hanno svelato una rete di transazioni finalizzate esclusivamente alla frode fiscale, attraverso lo schema classico della frode carosello.

La società bolognese acquistava il materiale informatico da imprese-fantoccio che fungevano da “interposti”, almeno sei, con sede in diverse zone d’Italia (alcune addirittura risultate irrintracciabili presso la sede legale). Queste emettevano fatture false a favore della stessa “centrale” emiliana, che grazie all’escamotage poteva acquisire un credito IVA da utilizzare in compensazione (per abbattere le imposte) o da chiedere a rimborso, ma anche abbassare i prezzi della merce, con un conseguente danno per la concorrenza. Le operazioni commerciali con le cosiddette cartiere, diversamente da quanto sostenuto dai responsabili dell’azienda, erano tutt’altro che fortuite e rappresentavano oltre il 90% del totale degli acquisti effettuati.
La Commissione tributaria, alla luce della quantità di prove raccolte dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito che le operazioni con i soggetti interposti “non possono non essere considerate come presunzioni di connivenza con la ricorrente”, condannando il contribuente a versare circa 10 milioni di euro di maggiore imposta accertata, insieme a 8 milioni di sanzioni.
I responsabili della società sono stati denunciati alla Procura della Repubblica per i risvolti penali della vicenda. (Redazione)

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