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Domenica, 22 giugno 2025

EDITORIALE

Forse la riforma fiscale può attendere

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 21 luglio 2011

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Sino a oggi, a chi chiedeva loro conto di non essere stato capace di promuovere le riforme che servono al Paese, Silvio Berlusconi ed i suoi Ministri, a cominciare da quello dell’Economia, Giulio Tremonti, rispondevano invariabilmente che, per lo meno, erano stati capaci di tenere in piedi i conti pubblici senza mettere le mani in tasca agli Italiani.
Dopo l’ultima manovra, è lecito sperare di non sentire più questo tipo di replica.
In verità, ogni proclama sul Fisco che si è succeduto in questi ultimi due anni, è sistematicamente partito con il fine dichiarato di una più equa perequazione tra i cittadini, salvo poi, una volta ottenuto un sostanziale consenso trasversale, essere utilizzato per finalità che nulla hanno a che vedere con la rimodulazione del prelievo fiscale e tutto hanno invece a che vedere con il suo incremento complessivo.

Proclama dei proclami: lotta dura all’evasione fiscale così che, se si paga tutti, si potrà finalmente pagare meno.
Coro di assensi anche da parte di coloro verso cui si indirizza tipicamente l’attenzione non proprio amichevole del Fisco, salvo poi vedere sistematicamente impiegati i proventi della lotta all’evasione per coprire il deficit al posto di più incisivi tagli di spesa.
Il tutto in un crescendo sempre più squilibrato di norme pro Fisco, tanto da costringere Ministro dell’Economia e vertici dell’Agenzia delle Entrate ad ammissioni sul rischio di una deriva marcatamente vessatoria.

E quindi, per mettere freno a questa deriva, che si fa in manovra finanziaria?
Si inseriscono norme che gettano le basi per una giustizia tributaria domestica per l’Amministrazione finanziaria (parole dell’Associazione Magistrati Tributari, condivise anche dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria): la famosa linearità tra parole e opere.

Altro proclama: disboschiamo la giungla di detrazioni, deduzioni e agevolazioni che rende il Fisco incomprensibile.
Di nuovo coro di “sì” anche da parte di chi ne beneficia, salvo poi scoprire nella manovra finanziaria che il disboscamento non viene utilizzato per creare i presupposti di rimodulazione più razionale del prelievo nell’invarianza di gettito, ma per coprire il deficit al posto di più incisivi tagli di spesa, con conseguente aumento della tassazione per 24 miliardi tra il 2013 e il 2014, riforma o non riforma del sistema fiscale.

L’obiettivo è coprire il deficit, al posto di più incisivi tagli di spesa

E che dire della patrimonialina stile ICI (cioè con applicazione ogni santo anno e non una tantum) sui conti di deposito dei titoli?
Anni di resistenze tremontiane sull’aumento (sacrosanto) della tassazione sui capital gain al 20%, salvo poi scoprire che le resistenze erano evidentemente dovute al fatto che non c’era l’intenzione di mettere tasse su proventi che avrebbero potuto non esserci o essere troppo modesti: meglio un bel prelievo sulle consistenze in giacenza e chi s’è visto s’è visto.
E pazienza se il prelievo è regressivo e lo si usa, ancora una volta, per coprire il deficit al posto di più incisivi tagli di spesa, anziché, come si era sempre inteso, per alleviare la tassazione sui redditi di lavoro e produzione.

Diciamoci la verità: date queste premesse, c’è davvero da augurarsi che siano le stesse persone che hanno gestito il Fisco in questi anni a riscrivere addirittura per intero il nostro sistema fiscale?
Sarà mica che, dopo aver assistito al solito coro di conferme trasversali sul fatto che la riforma fiscale sia una priorità assoluta, ci ritroveremo con un sistema fiscale marcatamente più gravoso, costruito apposta per rendere possibile il mantenimento nel tempo del pareggio di bilancio (se mai lo raggiungeremo), senza dover mai affrontare il nodo di tagli di spesa più incisivi, a cominciare da quelli relativi ai costi della politica?
Fidarsi è bene, ma, visti i tempi, non fidarsi è tutt’altro che scortesia.

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