L’istituto del reclamo complica la difesa del contribuente
Caro Direttore,
ho letto il recente intervento del collega Mancinelli in merito alla mediazione tributaria e alla sua proposta di costituire l’organo di mediazione con giovani colleghi (si veda “Mediazione tributaria, bisogna investire sui giovani commercialisti” del 18 ottobre).
Ritengo che essa sia sicuramente interessante, ma difficilmente attuabile nel breve periodo, vista la scarsa considerazione di cui gode la nostra categoria, che ci vede quale “parte” del rapporto Fisco/contribuente.
Ma il mio intervento vuole dare un contributo sull’utilità/inutilità dell’istituto del reclamo.
A me pare che esso sia stato introdotto dall’Amministrazione finanziaria (ho volutamente indicato l’Amministrazione finanziaria e non il Legislatore, per espressa confessione del dott. Befera, il quale, durante una trasmissione televisiva, ha affermato: “Abbiamo introdotto la mediazione anche in ambito fiscale”) non per agevolare un accordo tra Fisco e contribuente, ma al solo scopo di rendere più difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente.
E ciò per almeno tre motivi:
- il primo riguarda il fatto che un accordo tra Fisco e contribuente può già ora essere trovato attraverso l’istituto dell’accertamento con adesione che, se fosse utilizzato in maniera meno rigida da parte dell’Amministrazione finanziaria, potrebbe essere molto proficuo;
- il secondo motivo verte sulla considerazione che la complessità di tale istituto sia stata pensata al fine di limitarne l’utilizzo, per indurre il contribuente a non contestare il quantum richiesto, visto anche che proprio per la sua complessità egli dovrà rivolgersi a un professionista con specifiche conoscenze in tema di contenzioso tributario;
- il terzo motivo trova fondamento nel fatto che tale istituto è limitato a contestazioni fino a 20.000 euro, dove l’incidenza del costo del professionista diventa elevata, inducendo il contribuente a non contestare quanto accertato.
A suffragio delle considerazioni appena esposte, leggo i dati diramati dal Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria riferiti a settembre 2011, secondo cui è in aumento la soccombenza dell’Amministrazione finanziaria, sia in primo che in secondo grado, rispetto ai dati del 31 dicembre 2010.
Si sa che a pensar male si fa peccato, ma tante volte si indovina: vuoi vedere che l’Amministrazione finanziaria, invece di adoperarsi per fare accertamenti più fondati, vuole rendere più difficile ai contribuenti l’esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito?
Adriano Pietrobon
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Treviso
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