Il decreto sulle professioni non aiuta i giovani e ingessa la società
Caro direttore,
ho apprezzato il tuo editoriale sullo schema di decreto sulle professioni (si veda “Deludente e preoccupante lo schema di decreto sulle professioni”).
Ma vorrei sottolineare due aspetti particolarmente importanti, che hanno un’origine comune.
Il primo riguarda la norma “gerontocratica” (bellissima definizione), che prevede l’impossibilità di un neoiscritto di avere a sua volta tirocinanti per 5 anni.
Mi chiedo: ma, per un giovane, quando finiscono gli esami?
Che senso ha una norma di questo tipo, visto e considerato che:
- un neodottore commercialista è di per sé abilitato a seguire contenziosi fiscali anche di milioni di euro;
- un neodottore commercialista può avviare uno studio, assumere decine di dipendenti;
- un neodottore commercialista che si assume nella posizione di valutare un tirocinante è un professionista che “ha” un suo studio, e che evidentemente ha già ottenuto la fiducia di un certo numero di clienti.
Insomma, secondo questa “norma”, un neodottore commercialista si presume (“iuris et de iure”) essere ancora un po’ ignorante, inesperto, incapace ecc. ecc., ma solo ai fini interni, mentre rispetto ai clienti è perfettamente formato.
Così, a titolo informativo, mi piacerebbe sapere, tra coloro che sostengono questa “norma”, quanti, a suo tempo, sono riusciti ad aprire uno studio senza avere tirocinanti per i primi 5 anni.
Io no: e probabilmente, se ci fosse stata quella norma 20 anni fa, non sarei riuscito a “stare in piedi”.
Ed è una norma che si colloca perfettamente nella linea culturale tipicamente italiana, dove si dà per scontato che un giovane non può “sapere”, non è credibile, non merita fiducia, proprio in quanto giovane. Un altro tassello che ingessa la nostra società.
Su un secondo tassello, ossia il praticantato “ridotto” a 18 mesi, dico questo.
L’esperienza personale, sia come destinatario del provvedimento (allora non c’era), sia come “dominus”, mi porta a concludere che il tirocinio troppo lungo a nulla serve.
Nel nostro mestiere serve tanta “teoria” e molta meno “pratica” di quel che si pensi – o, per dirla meglio, la pratica discende direttamente dalla teoria. Non v’è modulo dichiarativo che non sia ancorato su una previsione normativa: per compilare bene quel modulo bisogna conoscere la norma sottostante, e non imparare la norma solo per compilare il modulo.
Un praticantato di 36 mesi serve soltanto a posticipare di 30 mesi o più il momento della “grande secchiata” per la preparazione dell’esame.
Tanto vale anticipare lo studio approfondito e poi, caso mai, pretendere un praticantato ridotto (18 mesi sono più che sufficienti) dopo l’esame, al fine di avere il titolo abilitante. Più o meno come un tempo succedeva per gli avvocati, che potevano fregiarsi del titolo “avvocato” (anziché semplice “procuratore”) solo dopo – credo – due anni dall’avvio dell’attività post-abilitazione.
Dopodiché... liberi tutti!
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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Caro Collega,
hai messo in evidenza, in modo assai più efficace del sottoscritto, le incoerenze della norma che pretende di limitare ai neoabilitati la possibilità di essere affidatari di praticanti.
Molto, ma davvero molto interessanti anche gli spunti sul tirocinio.
Per fortuna questa rubrica di lettere è molto letta, anche da chi può e deve cercare di incidere sul legislatore (anche se l’impresa appare sempre più improba), perché sarebbe un delitto che non venissero considerati in un serio dibattito sul tema.
Enrico Zanetti
Direttore Eutekne.Info
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