ACCEDI
Sabato, 21 giugno 2025 - Aggiornato alle 6.00

LETTERE

Siciliotti: Chiedo solo obiettività e giustizia

Martedì, 26 marzo 2013

x
STAMPA

Caro Direttore,
dopo tanto silenzio sento l’esigenza di cercare di fare chiarezza, o quantomeno di dire compiutamente la mia, nel difficile frangente in cui versa oggi la rappresentanza nazionale della nostra categoria. Com’è noto, dal 21 dicembre scorso, ho deciso di fare un “passo indietro” e ho quindi rinunciato a riproporre la mia candidatura per la ripetizione delle elezioni per il Consiglio Nazionale, in origine fissate per il 20 febbraio. In questo periodo, mi sono astenuto dall’intervenire nel dibattito politico della categoria non senza esprimere tuttavia il mio convinto appoggio a coloro che, pur senza di me, hanno proseguito la competizione elettorale della lista “Vivere la professione”.

Oggi, la sospensione della ripetizione di quelle elezioni, disposta dalla doppia sentenza del Consiglio di Stato, riapre un dibattito interno rispetto al quale mi pare giusto non far mancare la mia voce. Anche perché vedo emergere elementi di equivoco e di confusione che, a mio giudizio, meritano chiarezza. Secondo un vecchio detto, infatti, “parole senza senso, troppo spesso ripetute, finiscono per trovarne uno”. Credo che questa antica espressione di saggezza trovi perfetto riscontro in questa tormentata vicenda del rinnovo del nostro Consiglio Nazionale.

Provo allora a scongiurare questo rischio cercando di dare una più corretta lettura di alcune espressioni molto dibattute (e ripetute) ma che, assai spesso, sottendono realtà esattamente opposte a quelle che, apparentemente, sembrerebbero rappresentare. Le ripercorro con ordine.

“Bisogna dare la parola agli elettori”: a ben vedere, gli elettori quella parola l’hanno già avuta il 15 ottobre 2012, quindi ben cinque mesi fa. E nessuno può contestare che quelle elezioni si siano svolte regolarmente e nel pieno rispetto della legge. Perché allora si chiede di rifare quelle elezioni? Che motivo c’è di invocare oggi qualcosa che, in realtà, è già da tempo avvenuto? Forse perché l’esito di quelle elezioni sancirebbe che una lista è regolare e l’altra no e che quella irregolare ha pure preso meno voti dell’altra? E non è forse vero che per ottenere tutto questo non solo si pretende di rigiocare la partita persa ma pure di cambiarne le regole, sostituendo disinvoltamente e a proprio piacimento i soggetti che la legge prevede come titolari del diritto di elettorato attivo?

“I ricorsi impediscono le elezioni”: i ricorsi non impediscono proprio nulla. Sono le sentenze (e non i ricorsi) a sospendere le elezioni. Quelle sentenze che, dopo averle vagliate, ritengono giuridicamente fondate le ragioni dei ricorrenti. Non si può scambiare la causa con l’effetto. E nessuno può pretendere di impedire il diritto costituzionale di ogni cittadino di vedersi riconoscere quei diritti che si ritengono lesi.

“Il passo indietro”: altro non è che la rinuncia volontaria ad esercitare un diritto che la legge altrimenti non impedirebbe. Si può discutere se una tale promessa sia revocabile o, in ogni caso, debba valere per sempre. Ma ciò di cui non si può discutere è che, una volta fatta, debba essere assolutamente chiara la sua portata. Quantomeno fino ad un’eventuale, motivata e altrettanto chiara decisione contraria. La domanda nel nostro caso è allora questa: se in un modo o nell’altro ci dovessero essere nuove elezioni, quali sono i soggetti che, oggi, sarebbero assolutamente indisponibili a parteciparvi? Io, senza alcun dubbio. Chi altro è disponibile a fare altrettanto senza poi nascondersi dietro il facile paravento di una richiesta altrui?

“La maggioranza del disciolto Consiglio Nazionale ha omesso di prendere i necessari provvedimenti a seguito delle dimissioni dei presidenti degli Ordini di Bari e di Enna”: non è davvero il caso, in questa sede, di ripercorrere tutto l’iter procedurale che ha contraddistinto le due vicende, quanto cercare di dar risposta alla fondamentale domanda che tutti al riguardo si pongono. Cioè, al di là di tutto, quali erano i reali interessi in gioco? A chi poteva elettoralmente convenire che si verificasse una determinata situazione per gli Ordini in questione alla data del voto? Se questa è – come lo è senz’altro – la domanda fondamentale, rispondiamo allora con assoluta franchezza. Non vi era alcun interesse da parte di quella maggioranza (e della componente di questa impegnata nelle elezioni) a che gli Ordini in questione avessero la governance allora esistente, ovvero quella risultante da un’eventuale rielezione degli organi. La realtà ha infatti dimostrato che, in entrambi i casi, vi è stata una sostanziale continuità, tanto da poter fondatamente ritenere che non ci sarebbe stato, in capo ai nuovi, un mutamento di indirizzo nell’espressione di voto al CN.
Non è forse vero, allora, che era invece proprio quella minoranza impegnata nelle elezioni nella lista concorrente a volere che, alla data del 15 ottobre, non fosse in carica né il vecchio, né il nuovo Consiglio, bensì un Commissario, per poter così impedire un’espressione di voto che, in ogni caso, sarebbe a loro risultata sfavorevole?

“La maggioranza del disciolto Consiglio Nazionale ha preso un provvedimento in palese conflitto di interessi pur di accogliere il ricorso del PM di Aosta sul trasferimento di Sganga”: anche qui, tralasciamo le valutazioni sulla procedura seguita e andiamo direttamente al nocciolo della questione. A chi poteva giovare discutere e decidere su quel ricorso in termini di riflesso sulla competizione elettorale? Non certo a quella maggioranza e alla componente di questa impegnata nelle elezioni. A termini di legge, infatti, il semplice ricorso del PM (e non necessariamente il suo accoglimento da parte del CN) produce l’effetto di sospendere la validità del trasferimento, quindi l’eventuale delibera sul punto non avrebbe aggiunto nulla in più. E allora perché si è deliberato ugualmente? Semplice, perché il Ministero ce l’ha imposto. Con ripetute sollecitazioni scritte, imponendoci di ottemperare in tal senso benché conoscesse perfettamente la particolare situazione in cui versava quel Consiglio.
Lo stesso funzionario che ha redatto poi il provvedimento di commissariamento del CN ha invitato il sottoscritto a farsi fare un parere tecnico da un amministrativista, ad approvarlo in CN e, successivamente, a seguirne la procedura. Così come, puntualmente, è stato fatto. Ed è davvero singolare – lasciatemelo dire – che lo stesso Longobardi, all’Ordine di Roma, abbia seguito in precedenza quella stessa identica procedura (i soggetti in conflitto di interessi formano il quorum costitutivo ma non anche quello deliberativo) per escludere una lista alle elezioni per il rinnovo dell’Ordine e poi firmi addirittura un esposto penale nei miei confronti. Così da considerare addirittura abuso di ufficio per il CN quello che, viceversa, per il suo Ordine, altro non è stato che normale prassi amministrativa. Quali sono allora le azioni giudiziarie da cui sarebbe opportuno astenersi? I ricorsi amministrativi per ottenere il ristoro di un evidente danno di immagine o gli esposti penali in cui si ha addirittura l’ardire di denunciare una fattispecie esattamente coincidente a quella che gli stessi esponenti, in precedenza, a parti invertite, non hanno avuto alcuna remora ad attuare?

“La categoria ha bisogno di una soluzione unitaria per superare al più presto questa imbarazzante situazione”: è probabilmente vero che una giustizia per troppo tempo attesa finisce per diventare, almeno in parte, un’ingiustizia. È quindi ragionevole pensare anche alla praticabilità di una via alternativa a quella delle aule di giustizia e giusto che chi, pur per finalità assolutamente condivisibili, ha ritenuto di presentare dei ricorsi non escluda oggi, a priori, la possibilità di poterli anche ritirare. A quali condizioni, però? Essenzialmente quattro.
In primo luogo, il ritiro incondizionato dalla competizione dei principali attori, soprattutto chi, con i suoi disinvolti comportamenti, ha creato i presupposti perché tutto quanto accaduto potesse succedere. La mia persona non è in discussione. Pur non avendo fatto nulla di cui dovermi dolere, il mio passo indietro rispetto a nuove elezioni l’ho fatto tre mesi fa e oggi, per quanto occorrer possa, lo confermo. Lo stesso, a maggior ragione e con ben altre responsabilità, lo devono però fare tutti i protagonisti dell’altra lista, a cominciare dal candidato presidente.
In secondo luogo, la nuova governance dovrà risultare da una lista unica. Non avrebbe davvero senso riproporre, di nuovo, una conflittuale competizione bipolare.
In terzo luogo, la lista unitaria dovrà avere il consenso della maggioranza degli Ordini, computati come tali secondo i pesi elettorali previsti dalla legge e secondo le distinte espressioni di voto che contraddistinguono le due componenti che fanno parte della nostra categoria.
Infine, da ultimo ma non certo per ultimo, deve esserci un espresso riconoscimento di correttezza e di legittimità per quanto riguarda l’operato del precedente Consiglio Nazionale. Quest’ultimo aspetto è infatti essenziale per far venir meno l’interesse ad una pronuncia di giustizia. Perché – anche questo è bene che sia chiaro – il motivo principale che, in particolare, ha spinto il sottoscritto e gli altri consiglieri nazionali uscenti ad adire alla giustizia non è certo la ripetizione delle elezioni. Tutt’altro. Ciò su cui nessuno di noi passerà mai sopra è l’onta di un ingiustificato e illegittimo commissariamento. Un’onta che o ci viene lavata da un’esplicita attestazione della maggioranza della nostra categoria o è nostro diritto imprescindibile chiederlo, fino in fondo, alla giustizia del nostro Paese. Nessuna riconciliazione infatti, per quanto auspicabile e necessaria, può prescindere dal preventivo riconoscimento della verità. Altrimenti, l’ingiustizia finirebbe per colpire due volte.

Questi mesi sono stati difficili per la categoria, senz’altro, ma anche per me personalmente. Non ho scritto sulla vicenda interna, non ho dichiarato, non ho esibito documenti interni, non ho usato o fatto usare da altri i social network per schernire gli avversari. Ho sempre scelto di non reagire anche quando non pochi amici mi sollecitavano a farlo. Ho chiesto, e chiedo anche oggi, solo obiettività e giustizia.


Claudio Siciliotti
Ex Presidente del CNDCEC

TORNA SU