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Per l’eredità digitale va rispettata la volontà del de cuius

/ REDAZIONE

Martedì, 4 dicembre 2018

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Assonime, nella circolare n. 25/2018, pubblicata ieri, ha analizzato, nell’ambito della nuova disciplina contenuta nel Codice della privacy (di cui al DLgs. 196/2003), così come modificata dal DLgs. 101/2018, le disposizioni sul trattamento dei dati personali delle persone decedute.

Sul punto, si segnala che, come evidenziato nel considerando n. 27 del Reg. Ue 2016/679, il regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute, pur potendo comunque gli Stati membri prevedere norme ad hoc. Seguendo tale possibilità, il DLgs. 101/2018, in parte confermando quanto già statuito dal precedente art. 9, comma 3 del Codice della privacy, ha introdotto il nuovo art. 2-terdecies del Codice della privacy.

Più nello specifico, i diritti (artt. 15-22 del Regolamento) riferiti ai dati personali concernenti il de cuius possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.

Due sono i casi nei quali non è ammesso l’esercizio di tali diritti: quando è la legge a stabilirlo (ad esempio, con riferimento alle informazioni soggettate a un regime di segretezza in ragione della tutela di preminenti interessi pubblici, come l’ordine pubblico) e quando sia stato direttamente l’interessato a precluderlo nelle ipotesi di offerta diretta di servizi della società dell’informazione, nel rispetto della sua volontà per quanto concerne la cosiddetta eredità digitale.

Anche la volontà del defunto, però, subisce dei limiti. Il divieto espresso, infatti, non può compromettere l’esercizio da parte dei terzi di diritti patrimoniali derivanti dalla morte dell’interessato-de cuius stesso (in quanto erede o avente causa), oltre che del diritto di difendere in giudizio i propri interessi. Pertanto, così come sottolineato da Assonime, occorre che il titolare del trattamento valuti caso per caso in che misura un diniego potrebbe produrre effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica del terzo richiedente.


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