Al commercialista il ruolo di incaricato di pubblico servizio
Egregio Direttore,
il Manifesto dei commercialisti licenziato a Roma lo scorso 9 maggio, in seno agli Stati Generali della professione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, espressamente prevede, nell’ambito delle azioni mirate alla valorizzazione delle nostre funzioni, “il riconoscimento del ruolo di «incaricato di pubblico servizio» per le attività che, in ambito fiscale, amministrativo e contabile, si risolvono nella predisposizione e presentazione di atti, dichiarazioni, attestazioni e certificazioni la cui esibizione o il cui deposito presso pubbliche amministrazioni è espressamente richiesto dalla legge. A tal fine il Governo potrebbe individuare lo strumento legislativo più idoneo per affidare alle professioni ordinistiche, in ragione del loro carattere di terzietà, alcuni atti delle amministrazioni pubbliche”.
Per quanto riguarda AIDC e, ovviamente, per tutti i soggetti che hanno contribuito al documento in parola e che lo hanno poi sottoscritto, si tratta di un passaggio di estrema e fondamentale importanza, che declina pienamente il nostro ruolo in un’ottica, riconosciuta, di sussidiarietà, posto che nei fatti assumiamo già responsabilità senza alcun riconoscimento formale.
È evidente che, in un momento di ridefinizione e rimescolamento degli elementi fondamentali dell’economia quotidiana, occorre individuare quale ruolo debbano rivestire i dottori commercialisti e gli esperti contabili. Non è certo un compito facile, atteso che in questa ricerca il rischio maggiore è certamente quello di invertire l’ordine dei fattori, ovvero non chiederci più a quali esigenze può rispondere la nostra categoria, ma, bensì, quali nuove esigenze occorre tratteggiare per la sopravvivenza della stessa. Un’argomentazione perversa che, anche in tempi recenti, ha contribuito alla disperata ricerca di una momentanea terapia antidolorifica rispetto a nuovi adempimenti, da ultima la fatturazione elettronica, piuttosto che alla corretta reinterpretazione del nesso eziologico in chiave propositiva rispetto al nostro ruolo nella società e nell’economia del Paese.
La nostra categoria vive una crisi profonda, negli ultimi 10 anni, a fronte di una crescita di circa 11.000 unità, il reddito professionale reale (al netto dell’inflazione) è diminuito del 14% , il Pil del Paese è cresciuto del 3,3%, quello della categoria è crollato del 12%. Chi invoca il mantenimento e la difesa delle attuali competenze, osteggiando i cambiamenti, assomiglia ai capponi di manzoniana memoria tutti intenti a beccarsi tra loro, ignari dell’infausto destino. È necessario introdurre novità per la categoria, sviluppare nuovi campi d’intervento, difendere esclusivamente il presente non è inutile, è decisamente pericoloso. È un compito non semplice, specie in un quadro generale in cui troppo spesso vengono poste al centro le esigenze immediate, accontentandosi di una navigazione a vista.
In questo scenario è, prima, maturata e, poi, fortemente sostenuta da AIDC la proposta del dottore commercialista come incaricato di pubblico servizio, partendo dall’analisi dei fatti certi e delle circostanze inequivocabili. Infatti, è noto che sono stati trasferiti in capo ai contribuenti, o per meglio dire in capo ai professionisti che li assistono, adempimenti precedentemente svolti dalla P.A., specie in ambito tributario. Lo snellimento (apparente) delle procedure di comunicazione delle informazioni tributarie, mediante il ricorso a flussi informatici, ha di fatto consegnato nelle mani della categoria una massiccia quantità di operazioni che, fino a ieri, venivano svolte all’interno dei pubblici uffici.
Come ampiamente noto a tutti, il consistente risparmio realizzato dalla parte pubblica, analizzato in controluce, rivela l’esistenza dei notevoli costi sopportati dalla parte privata per il conseguimento dello stesso. Un sacrificio per l’utilità collettiva abbracciato dai dottori commercialisti.
Ecco allora che immaginiamo, con forza, che questo processo devolutivo possa evolversi qualitativamente da incarico di fatto ad incarico di diritto e quantitativamente dall’ambito tributario ad un più ampio ambito che riguardi la sfera dei rapporti tra cittadino e P.A. Immaginiamo, dunque, una via di evoluzione della professione come vero punto di contatto tra Stato e cittadino. Non è mia intenzione entrare qui nel dettaglio della proposta che ovviamente è aperta a miglioramenti, a partire dagli aspetti nominalistici, ma solo affermare l’importanza, oggi, di immaginare il nostro ruolo (anche) in una prospettiva diversa, concedendo alla categoria un nuovo ambito di operatività e partendo dal riconoscimento formale di attività di fatto già devolute alla stessa.
Il disegno dell’ampiezza, delle modalità di accesso e delle conseguenti responsabilità, che però non devono spaventare a priori, dovrà essere declinato nel perimetro della proposta che verrà fatta nelle interlocuzioni con il legislatore, sempre che le lotte intestine lascino respiro e non portino la categoria a guardare il dito e non la luna. Non ne abbiamo bisogno. Non ne abbiamo mai avuto bisogno, ma in questo momento storico ancor meno.
Andrea Ferrari
Presidente AIDC – Associazione Italiana Dottori Commercialisti
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