È reato esibire fatture false anche se emesse prima dell’entrata in vigore della disciplina normativa
La Cassazione, nella sentenza n. 50350/2019, per la prima volta, o almeno così sembrerebbe, si pronuncia sulla fattispecie di cui all’art. 11 comma 1 del DL 201/2011 convertito, ai sensi del quale, “chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.
La ratio dell’incriminazione – precisa la Suprema Corte – è quella di assicurare un efficace presidio penale alle attività di controllo della posizione dei contribuenti ed evitare che siano frustrate da comportamenti idonei a sviarne il corretto svolgimento. L’obiettivo è, dunque, quello di ottenere una “leale collaborazione” del cittadino confidando nella forza persuasiva e deterrente dello strumento penale.
La fattispecie in esame sanziona la condotta di chi “esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte”, non rilevando invece la circostanza che la predisposizione degli stessi – nella specie, fatture ideologicamente false – sia intervenuta precedentemente all’entrata in vigore della disciplina normativa. Il disvalore penale è infatti integrato dalla condotta consistente nell’esibire o trasmettere gli atti o i documenti falsi.
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