Sistema di tassazione dei redditi finanziari da razionalizzare
Le anomalie hanno effetti negativi su concorrenza tra intermediari, corretto funzionamento dei mercati finanziari e scelte di allocazione del capitale
Pubblichiamo l’intervento di Domenico Muratori, Associazione “Laboratorio fiscale”, Presidente del Consorzio Studi e Ricerche Fiscali Gruppo Intesa Sanpaolo.
Dopo l’emanazione del DLgs. n. 461/1997, che ancora oggi rappresenta il cardine su cui poggia la tassazione dei redditi finanziari, numerose proposte di riforma incompiute si sono succedute. In un’epoca di rinnovato interesse politico per una modernizzazione dell’imposta personale, i tempi appaiono maturi per razionalizzare anche il sistema di tassazione dei redditi finanziari, le cui anomalie, oltre a violare i principi di equità e capacità contributiva, si riflettono negativamente sulla concorrenza tra intermediari, sul corretto funzionamento dei mercati finanziari e sulle scelte di allocazione del capitale.
Le anomalie di che trattasi riguardano le regole di determinazione della base imponibile, il timing della tassazione e le aliquote.
Sotto il profilo della determinazione degli imponibili, rileva che i redditi di capitale corrispondono alla remunerazione periodica dell’impiego di capitale e sono tassati individualmente e nella loro misura lorda. Tuttavia, il rendimento accordato dal mercato agli investimenti finanziari è concettualmente rappresentato da una percentuale di remunerazione del capitale in assenza di alea maggiorata di un premio al rischio, variabile in funzione della probabilità di non conseguire la remunerazione attesa e/o di non recuperare l’investimento. Tale premio al rischio trova la sua indiretta contropartita economica nelle eventuali perdite in linea capitale, rilevanti nell’ambito dei redditi diversi e perciò non compensabili coi rendimenti periodici, di modo che solo una categoria reddituale che racchiuda entrambi tali elementi può considerarsi espressione di una reale capacità contributiva.
Nella medesima prospettiva va inquadrata la stipulazione di contratti derivati con finalità di copertura. Il costo della copertura di rischi insistenti sul profilo patrimoniale e cedolare degli investimenti finanziari, rischi che di norma si riflettono in una maggiore entità del rendimento periodico configurato come reddito di capitale, pertiene alla categoria dei redditi diversi nonostante la stretta correlazione economica con l’entità del rendimento periodico.
D’altra parte, la compressione di elementi cedolari e differenziali all’interno del medesimo strumento, come avviene nel caso dei certificates, si sintetizza in un profilo finanziario misto (obbligazionario e derivato) nella cui qualificazione fiscale prevale la componente differenziale e che, su tale presupposto, è suscettibile di produrre redditi diversi idonei alla compensazione sia interna che esterna, realizzando una palese disparità di trattamento rispetto ai casi in cui i medesimi contenuti economici siano incorporati in strumenti finanziari separati.
Allo stesso modo, anomalie si riscontrano in relazione ai titoli obbligazionari acquistati sopra la pari (interessi tassati per intero come redditi di capitale; scarti di negoziazione rilevanti come perdite nell’ambito dei redditi diversi), alle compravendite di titoli azionari cum cedola (incentivo al trading in prossimità dello stacco cedola per l’impossibilità di compensare i dividendi e le correlate minusvalenze) e, più in generale, alla distribuzione di riserve formate con utili ante acquisto (tassate come redditi di capitale e idealmente fronteggiate da minusvalenze).
L’anomalia più macroscopica, in tale contesto, è quella dei redditi derivanti dall’investimento in fondi comuni di investimento, classificati tra i redditi di capitale mentre le perdite pertengono ai redditi diversi e possono essere utilizzate in compensazione solo nell’ambito di quest’ultima categoria.
Le stesse polizze assicurative a contenuto finanziario – specie se di tipo unit o index linked (ramo terzo), ma anche con capitale a scadenza collegato alla gestione di un fondo sottostante (ramo primo) o miste – possono dar luogo a perdite non compensabili, non essendo configurabili redditi di capitale negativi. Allo stesso modo, e sui medesimi presupposti, per l’investitore privato risultano fiscalmente irrilevanti le perdite su investimenti partecipativi derivanti dalla liquidazione della società o della partecipazione.
Significativi sono anche gli inconvenienti della tassazione al realizzo come quella attualmente applicata in Italia al di fuori del regime del risparmio gestito.
In primo luogo, infatti, la tassazione al realizzo induce fenomeni di lock-in su posizioni plusvalenti (attitudine a ritardare la dismissione per rinviare la tassazione), che peraltro possono essere perpetuati tramite la stipulazione di derivati di copertura, e di cash out su posizioni minusvalenti (attitudine ad anticipare la dismissione per compensare plusvalenze o differenziali imponibili), in entrambi i casi causando inefficienze nel funzionamento dei mercati e inutili costi di transazione quando le posizioni siano immediatamente ripristinate con successivi acquisti.
Nel sistema italiano, inoltre, la tassazione al realizzo comporta un asistematico e iniquo differimento del prelievo sia nel caso degli zero coupon bond, sia nel caso di strumenti che fungano da “contenitori” di investimenti finanziari idonei all’accumulazione di redditi al lordo di imposte (quote di OICR e polizze assicurative), prelevate solo al momento del riscatto delle quote o della liquidazione delle polizze (per scadenza o riscatto).
Gli investimenti indiretti tramite OICR e polizze finanziarie, peraltro, sono favoriti rispetto all’investimento diretto negli strumenti finanziari sottostanti perché fiscalmente insensibili non solo al realizzo dei sottostanti ma anche, atteggiandosi fondi e compagnie assicurative come lordisti, ai redditi di capitale che ne derivino (che nel regime del risparmio amministrato e in quello del dichiarato sarebbero invece tassati alla fonte).
Per quanto riguarda le aliquote, la mancata convergenza verso una misura unica, sia nell’ambito dei redditi finanziari che, più in generale, tra i redditi derivanti dalle varie forme di impiego del capitale, è chiaramente suscettibile di ostacolarne l’allocazione ottimale, favorendo ora l’una ora l’altra forma di impiego, e di violare l’equilibrio del sistema in termini di equità e uguaglianza.
L’enumerazione delle più macroscopiche distorsioni causate dall’attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari rende evidente la necessità di superare la distinzione tra redditi di capitale e diversi e di rendere fiscalmente rilevanti le “perdite di capitale”.
Quanto alle modalità impositive, un sistema di tassazione dei redditi finanziari alternativo, basato sul maturato, comporterebbe la formazione di cospicui crediti erariali in capo ai contribuenti nei periodi di congiuntura negativa dei mercati. Si porrebbe inoltre il problema di valutare i titoli non quotati e di sostituire una tassazione “operazione per operazione” con una tassazione periodica, con problemi di provvista per gli intermediari e di gettito per l’Erario.
Al fine di conciliare la neutralità e omogeneità del sistema con la sua necessaria gestibilità, sarebbe invece preferibile far convergere i regimi di tassazione basati sull’intervento degli intermediari su una tassazione al realizzo, che però consenta un riporto illimitato nel tempo delle perdite e corregga gli effetti finanziari del diverso timing del prelievo con un “equalizzatore semplice”, che ripartisca la plusvalenza realizzata tra i periodi d’imposta di possesso secondo una funzione lineare.
Quanto alle aliquote applicabili, il modello di dual income tax (tassazione progressiva dei redditi di lavoro e proporzionale degli altri redditi) prescelto dal legislatore italiano richiederebbe che l’aliquota del prelievo sui redditi finanziari sia, al pari delle altre aliquote sostitutive, allineata a quella dell’imposta sulle società e alla minor aliquota IRPEF. Sarebbe inoltre auspicabile che anche il risparmio postale sia soggetto all’aliquota ordinaria, considerato che le attività di bancoposta si pongono in diretta concorrenza con quelle degli altri intermediari finanziari.
Appare infine ragionevole ipotizzare la soppressione della fattispecie dei titoli atipici, riducendo la classificazione ai titoli azionari e similari, caratterizzati dalla partecipazione economica ai risultati dell’emittente, e a quelli, semplicemente, “diversi”, adeguandosi a quanto già fatto nell’ambito del reddito d’impresa.
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