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Intercettazioni utilizzabili per provare reati diversi da quelli inizialmente indicati

Utilizzabilità non preclusa sempreché vi sia un fisiologico sviluppo delle indagini e siano rispettati i limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 c.p.p.

/ Rosaria MOLÈ

Giovedì, 16 ottobre 2025

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Con la recente sentenza n. 18413/2025, la Corte di Cassazione, intervenendo in materia di utilizzabilità delle intercettazioni in altro procedimento, si è soffermata proprio sul concetto di “altro procedimento”, fornendone una interpretazione estensiva e sostanziale.

Secondo i principi già espressi dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 51 del 2 gennaio 2020 (c.d. “sentenza Cavallo”), il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate non opera con riferimento ai reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p., purché essi rientrino nei limiti nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 c.p.p.

Con la sentenza in esame i giudici di legittimità, pur ribadendo i principi di diritto sopra enunciati, partono dall’analisi concreta dei confini dell’autorizzazione del Gip e dei fatti storici valutati al momento dell’autorizzazione per giungere alla conclusione che non è preclusa l’utilizzabilità delle intercettazioni per provare reati diversi da quelli inizialmente indicati nella richiesta avanzata, sempreché vi sia un fisiologico sviluppo delle indagini e siano rispettati dagli stessi i limiti di ammissibilità già citati.

In altre parole, la sentenza in commento ha sancito che il principio enunciato dalle citate Sezioni Unite, in concreto, non preclude l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni per reati diversi da quelli formalmente indicati a base del provvedimento di autorizzazione alle attività di captazione, innanzitutto perché la nozione di “altro procedimento”, dalla quale dipende l’operatività del divieto di cui all’art. 270 c.p.p., non corrisponde a quella di “reato”.
Le stesse Sezioni Unite, anzi, a precisazione di questa premessa, avevano già rappresentato che la nozione di “procedimento” non può essere correlata all’iscrizione nel registro delle notizie di reato, di cui all’art. 335 c.p.p. e, di conseguenza, hanno ritenuto utilizzabili i risultati delle intercettazioni anche con riguardo ai reati connessi ex art. 12 c.p.p. proprio perché gli stessi sono da considerare inclusi nella nozione di “medesimo procedimento”.

Sulla base di queste premesse, anche la successiva giurisprudenza di legittimità ha accolto una nozione di “medesimo procedimento” ancorata a profili sostanziali e non a “evenienze meramente processuali”.
In particolare, sulla scia di tale orientamento interpretativo di più ampio respiro, è stato statuito che i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario, riguardanti distinti reati per i quali sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 266 c.p.p., sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati (cfr. Cass. n. 434/2025).
Ancora, è stata anche affermata l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in ipotesi di diversa e meno grave qualificazione del reato per il quale le stesse sono state disposte, se questa nuova definizione giuridica del fatto consegua agli esiti delle captazioni o comunque alla fisiologica evoluzione delle investigazioni (cfr. Cass. n. 48320 del 20 dicembre 2022).

Avallata l’interpretazione sostanzialistica di “altro procedimento”

Tale evoluzione interpretativa in senso sostanziale è stata da ultimo ampiamente accolta anche dalla sentenza n. 18413/2025, nella quale è sancito che “ai fini della utilizzabilità dei risultati di intercettazioni telefoniche o tra presenti, nella nozione di «medesimo procedimento» sono da ricomprendere tutte le fattispecie di reato contestate sulla base dei fatti storici indicati a fondamento del provvedimento autorizzativo del giudice, pur se ulteriormente definiti solo all’esito del fisiologico sviluppo delle indagini, sempreché dette fattispecie rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.”.

Al contempo, nella medesima pronuncia, al fine di impedire derive di incostituzionalità, il Supremo Collegio ha ribadito che la nozione “sostanziale” di “medesimo procedimento”, nei termini appena descritti, non pone in pericolo le garanzie di cui all’art. 15 Cost., in quanto la necessaria corrispondenza tra il fatto storico posto a base dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni, o parte di esso, e il “nucleo centrale” del fatto storico enunciato nella nuova imputazione, implica che anche quest’ultimo rientra tra i “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede”, ossia tra i “fatti” che debbono essere necessariamente predeterminati nel provvedimento del giudice.

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