Apparecchi diversi dalle vending machine con obblighi certificativi «ordinari»
Con il principio di diritto n. 14 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’apparecchio collocato in un luogo aperto al pubblico, che eroga prestazioni di servizi e che non può qualificarsi come “distributore automatico” ai fini della disciplina dettata dall’art. 2 comma 2 del DLgs. 127/2015, è sottoposto alle regole di certificazione di cui all’art. 22 del DPR 633/72 e, quindi, all’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi di cui all’art. 2 comma 1 del citato DLgs. 127/2015, salvo che ricorrano le ipotesi di esclusione di cui al DM 10 maggio 2019.
Si ricorda, peraltro, che quest’ultimo decreto rinvia all’art. 2 del DPR 696/96, il quale contempla, tra le ipotesi di esonero dall’obbligo di certificazione fiscale, anche “le cessioni e le prestazioni effettuate mediante apparecchi automatici, funzionanti a gettone o a moneta”.
A ogni modo, secondo quanto affermato dall’Agenzia, in mancanza di esoneri, le prestazioni rese tramite un apparecchio che non rientra nella definizione di “vending machine” devono essere certificate, “al momento del pagamento del servizio”:
- mediante fattura, quando questa sia richiesta dal cliente, ovvero quando il cliente sia un soggetto passivo d’imposta che agisce nell’esercizio dell’attività economica;
- in assenza della fattura, mediante memorizzazione e trasmissione telematica dei dati, rilasciando il documento commerciale.
L’emissione di tale documento (da effettuarsi non oltre l’ultimazione dell’operazione ex art. 2 comma 5 del DLgs. 127/2015) è obbligatoria ai sensi del DM 7 dicembre 2016 e il prestatore può rilasciarlo in modalità elettronica o analogica in base agli accordi raggiunti con il cliente.
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