La detenzione di una partecipazione in una società di persone fallita preclude il forfetario
La dichiarazione di fallimento di una società di persone, in sé considerata, non vale a escludere in radice la possibile percezione di un reddito di partecipazione in capo al socio, essendo possibile, nel corso della procedura, l’esercizio provvisorio dell’impresa o, dopo la chiusura del fallimento per soddisfacimento integrale dei creditori, a seguito di cessazione dell’attività con conseguente ripartizione del residuo attivo. Per questo motivo, si ritiene integrata la causa ostativa di cui all’art. 1 comma 57 lett. d) della L. 190/2014 e non è quindi possibile avvalersi del regime forfetario.
È quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 422 pubblicata ieri, a fronte del quesito posto da un contribuente che svolge dal 2020 un’attività ed è in regime di contabilità semplificata. L’istante possiede inoltre una quota di partecipazione del 15% come socio accomandatario di una società in accomandita semplice. Quest’ultima è stata dichiarata fallita nel 2022.
Il contribuente ha quindi chiesto, nel presupposto che nell’anno corrente non superi la soglia di 65.000 euro di ricavi, se può aderire al regime forfetario a partire dal 2023; come anticipato, in questa fattispecie l’Agenzia ritiene integrata la causa ostativa ex art. 1 comma 57 lett. d) della L. 190/2014.