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LETTERE

Sul titolo professionale il nuovo Codice si limita a fotografare l’ordinamento

Venerdì, 8 marzo 2024

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Gentile Redazione,
la messa in pubblica consultazione da parte del nostro Consiglio nazionale del nuovo Codice deontologico della professione ha generato attenzione da parte dei media e un dibattito interno alla categoria, come era giusto e auspicabile che fosse. Del resto, i diversi aspetti sui quali si è intervenuto impattano sull’attività professionale dei nostri 120mila colleghi che a quel Codice devono rigorosamente attenersi, essendo la deontologia uno degli elementi che più e meglio connotano un Ordine professionale.

Tra le molteplici novità introdotte, molti osservatori si sono concentrati sul comma 5 dell’articolo 44 relativo al corretto utilizzo del titolo professionale. Su questo specifico aspetto, due illustri e stimati colleghi che mi hanno preceduto alla guida del Consiglio nazionale, Claudio Siciliotti e Gerardo Longobardi, hanno manifestato le loro riserve attraverso prese di posizione l’uno su questa testata (si veda “Commercialista? No grazie!” del 29 febbraio 2024), l’altro sui social media, sostenendo entrambi, in sostanza, che quella norma rappresenti un grosso passo indietro per la professione e una decisa messa in discussione del termine “Commercialista”, ormai pienamente adottato nell’uso comune per indicare in senso ampio la nostra attività professionale.

In realtà, la novità introdotta si limita a fotografare fedelmente quanto previsto dal nostro ordinamento professionale, senza innovare in alcun modo rispetto alla disciplina dell’uso dei titoli professionali, limitandosi a introdurre una maggiore chiarezza e sistematicità della norma esistente, a beneficio di tutti gli iscritti che a quella stessa disciplina devono attenersi. D’altro canto, era stato lo stesso Consiglio nazionale allora presieduto da Claudio Siciliotti, con un Pronto Ordini datato 22 novembre 2010, a spiegare in maniera estremamente puntuale quale dovesse essere il corretto utilizzo del titolo professionale.

Cito testualmente: “In materia di titolo professionale l’articolo 39 del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139 chiarisce che il termine «commercialista» può essere utilizzato solo dagli iscritti nella Sezione A Commercialisti dell’Albo, con la completa indicazione del titolo professionale posseduto. L’ordinamento professionale, dunque, non consente di spendere il titolo generico di «commercialista» disgiuntamente dalla necessaria specificazione della qualifica di «dottore» o «ragioniere», corrispondente al tipo di abilitazione conseguita e all’iscrizione nella sezione A dell’Albo. Per quanto riguarda le varie forme di pubblicità del titolo professionale (targhe, carta da lettere, biglietti da visita ...), ferma restando la necessità di utilizzare la dizione completa del titolo professionale, si ritiene utile operare un richiamo all’art. 44 del Codice deontologico nella parte in cui richiede che le informazioni su specializzazioni e titoli professionali posseduti debbano essere «trasparenti, veritiere, corrette» oltre a non essere «equivoche e ingannevoli». Per completare la disamina della questione, anche al fine di fugare eventuali dubbi nell’applicare concretamente i criteri indicati, si ritiene utile specificare un ulteriore dato. Se da una parte l’uso del termine breve «commercialista» non è consentito tutte le volte che può ingenerare equivoci sull’effettiva qualifica professionale posseduta – vale a dire quando è utilizzata da un soggetto per qualificarsi all’esterno come professionista – è altrettanto indubitabile che possa essere sempre utilizzato per definire la categoria nel suo complesso. Espressioni come «la categoria dei commercialisti» o, in sintesi, «i commercialisti» sono infatti correntemente e correttamente utilizzate nelle comunicazioni esterne per definire l’insieme dei professionisti che ne fanno parte, a prescindere dal titolo professionale effettivamente posseduto ed anche dalla sezione di appartenenza A «Commercialisti» o B «Esperti contabili»”.

Insomma, quasi quindici anni fa il Consiglio nazionale affermava esattamente gli stessi principi ripresi oggi nel Codice deontologico che ci apprestiamo a rinnovare e che oggi sembrano essere messi in discussione anche da chi quegli stessi principi aveva sostenuto. Ciò che maggiormente colpisce non è, dunque, la legittima critica, bensì la manifesta incoerenza da parte di chi quelle norme le ha scritte e le ha interpretate. Forse il tempo sbiadisce i ricordi, anche quelli relativi alle proprie prese di posizione. Sono certo, dunque, che alcune affermazioni siano frutto di un mero errore fatto in buona fede e non di una becera strumentalizzazione politica o di un mero populismo a mezzo social.

Del resto, le leggi si applicano, si interpretano, non andrebbero usate per scopi politici. Evitiamo il rischio di imbarcarci in battaglie di retroguardia che non servono a nessuno e danneggiano l’immagine della nostra professione, che finalmente sta raggiungendo la visibilità e il rispetto che merita grazie all’intenso lavoro di questo Consiglio nazionale.

E, aggiungo: quando si apre un confronto come quello legato al nuovo Codice, ritengo sia più utile svolgerlo nelle sedi opportune. Per questo ringrazio quei presidenti di Ordini territoriali che, nel rispetto di una consultazione tecnica, hanno fatto pervenire le proprie preziose osservazioni all’indirizzo mail dedicato, piuttosto che esprimere le loro opinioni attraverso i canali social o sui giornali.

Proprio quello del corretto uso dei social è un altro aspetto sul quale il nuovo Codice si è concentrato, regolamentandone l’utilizzo per evitare che interventi o commenti possano ledere l’onorabilità delle Istituzioni, anche di categoria, o nuocere all’immagine e al decoro della professione. La nostra è la famiglia dei Commercialisti, sulla sua unità e coesione non si fanno certo passi indietro. Ma essa è anche ricca di orgogliosa diversità e specificità delle storiche professioni di ragionieri e dottori commercialisti. La professione è Una, ma la professionalità è individuale.

Ecco perché in ognuno dei nostri 120mila colleghi c’è tutto quello che noi abbiamo fatto, quello che noi sentiamo di essere e quello che vorremo essere nel futuro come professionisti. Pensare alla professione dei prossimi decenni è per noi un imperativo. Lo stiamo facendo anche mettendo mano alla madre di tutte le riforme, ossia a quella del nostro ordinamento, il “139”, con la speranza che in questo caso il confronto sia più attento ai testi e meno condizionato da pretestuose strumentalizzazioni politiche. Non dobbiamo vivere di nostalgici ricordi, quanto guardare al domani con visione e concretezza, facendo tesoro delle esperienze positive e negative del passato. Le prime per capitalizzarle, le seconde per non ripeterle.


Elbano de Nuccio
Presidente CNDCEC


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