Per l’opzione dell’IVA per cassa conta la condotta complessiva del soggetto passivo
I requisiti per l’applicazione del regime dell’IVA per cassa di cui all’art. 32-bis del DL 83/2012 vanno verificati esaminando la condotta formale del soggetto passivo nel suo complesso, tenendo conto non soltanto dell’annotazione da apporre in fattura, ma anche del rispetto degli obblighi dichiarativi.
È quanto emerge, in sintesi, dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 31918 pubblicata ieri, 11 dicembre.
Nel caso specifico, l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato un importo di IVA a carico del contribuente, ritenendo che il relativo versamento non potesse essere differito in applicazione del c.d. cash accounting. Ciò anche in ragione del fatto che nella dichiarazione IVA relativa all’anno 2013 il soggetto passivo non aveva indicato il relativo importo nell’apposito rigo del quadro VE e aveva reiterato l’omissione anche in successive dichiarazioni.
Il giudice di primo grado aveva accolto, però, le ragioni del contribuente e l’appello dell’Ufficio era stato respinto affermando che il soggetto passivo aveva agito in modo coerente, avendo riportato in fattura l’annotazione “IVA per cassa” e la norma di riferimento.
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, la Commissione regionale aveva errato nel riconoscere il comportamento concludente in capo al soggetto passivo basandosi soltanto sulle annotazioni in fattura. Avrebbe infatti dovuto procedere a un vaglio complessivo della sua condotta formale, che impone di considerare anche il contenuto della dichiarazione annuale. Viene infatti osservato che, ai fini dell’accesso al regime speciale, tali elementi formali andrebbero esaminati nel loro complesso, spiegando poi, nell’ipotesi in cui gli adempimenti non siano osservati nella loro totalità, come l’omissione anche solo parziale degli stessi possa essere superata.
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