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IMPRESA

Atto potenzialmente distrattivo da valutare in base al principio di offensività

Referente per la valutazione rimane sempre il patrimonio della singola società e non quello dell’intero gruppo

/ Maria Francesca ARTUSI

Venerdì, 2 maggio 2025

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Nell’ambito della bancarotta, la pericolosità di un atto non è necessariamente legata a uno stato d’insolvenza già esistente, ben potendosi manifestare anche in un momento antecedente, quando, per le concrete condizioni economiche, l’apertura del concorso tra i creditori sia solo potenziale.

D’altra parte, un atto che, isolatamente considerato, assume astratta valenza distrattiva, può non essere tale se, calato all’interno di una più ampia operazione economica, ad esso corrispondono, in ultimo, simmetrici vantaggi che compensino l’originario danno causato. In questi casi, il criterio di valutazione è la reale offensività dell’atto compiuto, che si atteggia diversamente a seconda che si guardi ad una singola impresa ovvero ad un gruppo di società. In particolare, laddove ci si trovi nelle dinamiche di un gruppo, il principio di offensività deve necessariamente tener conto dell’autonomia giuridica e patrimoniale di ciascun ente.

Quindi, referente per la valutazione dell’atto di disposizione rimane sempre e comunque il patrimonio della singola società e non quello dell’intero gruppo (come, invece, accade sotto il profilo tributario attraverso l’istituto del consolidamento). Resta infatti intatta la distinzione giuridico-patrimoniale tra i diversi soggetti giuridici coinvolti, tanto che la destinazione di risorse da una società all’altra, sia pur collegata, integra una violazione del vincolo patrimoniale nei confronti dello scopo strettamente sociale e configura la condotta del delitto di bancarotta distrattiva (così Cass. n. 28520/2013).

Tutto ciò non significa che, ove l’operazione coinvolga una pluralità di distinti soggetti giuridici appartenenti al medesimo gruppo occorra, sempre e comunque, valutare la valenza economica del singolo atto, pretermettendo ogni ulteriore e diversa considerazione. Anche in questo caso, l’essenza distrattiva del singolo atto ben può essere compensata da simmetrici vantaggi che riequilibrino gli effetti negativi prodotti dall’atto, neutralizzando i connessi pregiudizi per i creditori sociali (Cass. n. 16206/2017).

In queste ipotesi, però, l’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non è dato dalla sola appartenenza della società ad un gruppo imprenditoriale unitario: perdurando l’autonomia soggettiva delle singole società, il collegamento tra le società è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l’atto di disposizione del proprio patrimonio (cfr. tra le tante Cass. n. 44963/2012). Ciò che conta, in ultima analisi, è il saldo finale positivo, per la singola società, delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo.

Tali precisazioni vengono compiute nelle motivazioni della pronuncia n. 16407 – depositata dalla Cassazione il 30 aprile scorso – in un procedimento in cui erano stati contestati al presidente e a un consigliere di una srl i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta da operazioni dolose (art. 223 del RD 267/42, oggi confluito nell’art. 319 del DLgs. 14/2019).

Secondo la prospettazione accusatoria, la società fallita, nonostante versasse in evidenti difficoltà finanziarie, aveva finanziato massicciamente un’altra srl del medesimo gruppo tanto che alla data del fallimento il credito nei confronti della stessa ammontava a più di 3 milioni di euro; credito che, con successivi giroconti, era transitato dal conto “finanziamenti in società partecipate” (avere) al conto “progetto/versamento in conto futuro aumento capitale” (dare) e, quindi, convertito in partecipazioni al capitale di rischio, con ciò annullando, sostanzialmente, ogni prospettiva di realizzo.

La mancata prova del fatto che il saldo finale delle operazioni fosse stato effettivamente positivo per la società fallita, fondava così la condotta di distrazione. D’alta parte, la bancarotta da operazioni dolose era individuata nella sistematica omissione dei versamenti di quanto dovuto all’Erario, per oltre 2 milioni di euro, con la creazione di un debito tributario e contributivo, con il relativo inevitabile carico sanzionatorio, che rendeva prevedibile il conseguente dissesto.

Da tutto ciò emergeva anche l’elemento soggettivo del dolo generico attraverso indici rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distrattivo o dissipativo alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella distanza (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale.

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