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Danni da pagamenti preferenziali fuori dai netti patrimoniali

Il Tribunale di Bari affianca le due voci di danno e riconosce la responsabilità di tutti gli amministratori per l’illecita prosecuzione dell’attività

/ Maurizio MEOLI

Lunedì, 5 maggio 2025

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L’ordinanza 24 aprile 2025 del Tribunale di Bari – già oggetto di commento su Eutekne.info per i profili attinenti alla nuova disciplina della responsabilità dei sindaci (si veda “Dalla giurisprudenza attenuazione del limite di responsabilità dei sindaci” del 2 maggio 2025) – presenta interesse anche per ulteriori questioni.

Con riguardo al criterio equitativo di determinazione del danno dei c.d. netti patrimoniali, contemplato dal nuovo comma terzo dell’art. 2486 c.c., si precisa come esso sia alternativo, e non cumulabile, rispetto ad una determinazione analitica. Nel senso che, ove il curatore della società fallita (oggi in liquidazione giudiziale) lamenti il danno come differenza tra i netti patrimoniali, non è possibile, rispetto ad esso, cumulare i danni derivanti da singole condotte addebitate agli amministratori che comunque si sostanzino nella prosecuzione dell’attività caratteristica, perché tali danni sono ricompresi nella più ampia determinazione del danno che si ha con il ricorso al criterio dei c.d. netti patrimoniali. Ragionando diversamente, infatti, si moltiplicherebbero le voci di danno contravvenendo alla funzione compensativa del risarcimento.

Nella specie, quindi, la “concessione di finanziamenti” e la “ricezione di finanziamenti da parte di altre società del gruppo” sono considerate prosecuzione dell’attività caratteristica e, quindi, i relativi danni sono assorbiti nella liquidazione complessiva degli stessi con il criterio dei netti patrimoniali.

Il “rimborso di finanziamento ad ex soci” e il “rimborso di finanziamenti in favore di altri”, invece, sono condotte che non arrecano, di per sé, un danno al patrimonio della società, trattandosi di debiti pregressi che, nel momento in cui sono pagati, cancellano il corrispondente debito della società; essi, quindi, non possono essere ricompresi nel danno risarcito con il predetto criterio equitativo – che ristora il danno arrecato al patrimonio della società – integrando un pagamento preferenziale ai danni dei soli creditori sociali.

Si evidenzia, allora, non solo come il pagamento preferenziale valga a legittimare il curatore all’esercizio dell’azione di risarcimento, ma anche come tale circostanza non sia anche sufficiente all’accoglimento della stessa, per il quale occorre il verificarsi di un danno che si ha esclusivamente quando, per effetto del pagamento preferenziale, altri crediti di pari grado o di grado precedente siano rimasti insoluti (cfr. Cass. SS.UU. n. 1641/2017). Il danno da pagamenti preferenziali riguarda l’intera “massa” di creditori, con conseguente legittimazione del curatore ad esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori che abbiano in situazione di crisi effettuato pagamenti a vantaggio di alcuni creditori piuttosto che di altri in violazione del principio della par condicio creditorum. Tuttavia, il curatore deve determinare l’ammontare del danno cagionato e detto danno, definito “da maggior falcidia”, corrisponde alla differenza tra quanto i creditori pretermessi avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato fatto, ed il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito (cfr. Trib. Milano n. 3090/2020).

Si sottolinea, inoltre, come tutti gli amministratori, anche quelli privi di deleghe, così come sono solidalmente responsabili quanto al rispetto degli obblighi di legge inerenti alla redazione del bilancio, lo sono anche per l’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica a decorrere dall’anno nel quale la società (poi) fallita versava (in concreto) in uno stato di deficit patrimoniale; circostanza che sarebbe emersa nel caso di corretta appostazione delle voci di bilancio.

Gli amministratori (tutti, anche quelli privi di deleghe), infatti, avrebbero dovuto verificare tale situazione almeno alla fine del relativo esercizio sociale e non al momento dell’approvazione del relativo bilancio.

Alcune puntualizzazioni, infine, sono dedicate alla responsabilità del revisore legale.
Si sottolinea, infatti, come, per far valere questa responsabilità sia necessario provare:
- la violazione di obblighi del revisore legale;
- l’esistenza del danno causato dal comportamento degli amministratori;
- il nesso causa-effetto tra il danno e il comportamento del professionista incaricato.

Si deve, quindi, escludere che il revisore sia responsabile per atti di mala gestio degli amministratori, dal momento che al revisore non spetta il controllo sugli atti gestori. Inoltre, ove nelle proprie relazioni il revisore affermi – nei paragrafi “Dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” e “Elementi alla base della dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” (nel quale si dà specificamente conto delle ragioni sottese a detta impossibilità) – di non poter esprimere “un giudizio sul bilancio di esercizio” per non essere “stato in grado di acquisire elementi probativi sufficienti ed appropriati su cui basare” il giudizio, in assenza di specifiche contestazioni riguardo a tali motivazioni, si deve escludere che una tale determinazione del revisore concreti un suo inadempimento.

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