Legittimi gli attuali criteri di definizione degli immobili A1
Individuare criteri generali rientra nella discrezionalità del legislatore e il sistema dovrebbe adattarsi meglio all’evoluzione del contesto
Il fatto che non esista una definizione normativa che enunci analiticamente le caratteristiche che un immobile deve possedere per essere qualificato come “A/1” non comporta una violazione della Costituzione. Infatti, rientra nella discrezionalità del legislatore la possibilità di individuare parametri normativi generali e astratti che, poi, l’Amministrazione dovrà specificare nel dettaglio. Tale sistema, che – anzi – dovrebbe possedere una maggiore capacità di adattarsi all’evoluzione del contesto, “serve proprio a garantire proporzionalità e progressività nell’imposizione fiscale ed eventuali errori o distorsioni nell’applicazione non derivano dall’illegittimità del sistema normativo, ma dal cattivo esercizio del potere amministrativo, suscettibile di controllo giurisdizionale”. Lo ha sancito la Cassazione, con l’ordinanza n. 7621 del 21 marzo 2025, ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale concernente gli artt. 1, 2 e 8 del RDL 652/1939 e gli artt. 4, 6 e 9 del DPR 1142/1949, in relazione agli artt. 23, 53, 97 e 24 comma 3 della Costituzione.
Il caso esaminato dall’ordinanza origina dal ricorso con cui due contribuenti impugnavano la rideterminazione del classamento di un immobile (di cui erano l’uno proprietario e l’altra usufruttuario), che era passato da A/2 ad A/1, con tutte le conseguenze che ciò determina sull’ammontare della rendita. In particolare, i contribuenti contestavano la nuova determinazione catastale, operata dall’Ufficio, affermando, che “nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa specifica delle categorie e delle classi catastali e che l’unico riferimento per stabilire se un’abitazione rientri o meno nella categoria A/1 sarebbe il carattere «signorile» dell’immobile, concetto non definito normativamente ma lasciato al «senso comune» e a «nozioni presenti nell’opinione generale»”. La vaghezza della definizione normativa, secondo i ricorrenti, lascerebbe alla discrezionalità amministrativa un arbitrio tale da generare un contrasto con la Costituzione.
La Suprema Corte riconosce che, a causa dell’assenza di una definizione legislativa “analitica”, per inquadrare una determinata unità abitativa come “signorile”, “civile” o “popolare”, si debba fare riferimento a categorie presenti nell’opinione generale in un determinato contesto temporale. In questo sistema, però, l’Amministrazione “con le dovute specificazioni da parte della giurisprudenza”, ha elaborato criteri e parametri sulla cui base fondare la classificazione di un immobile urbano come A/1.
In particolare – spiegano i giudici di legittimità – “è stato dato rilievo a criteri quali la zona residenziale in cui è inserito, avuto riguardo altresì alle caratteristiche qualitative di costruzione, nonché all’elevato grado di rifiniture presenti nell’immobile”.
Invece, il DM 2 agosto 1969 detta le indicazioni per qualificare un immobile come “di lusso”, qualifica che può incidere sulla spettanza di alcune agevolazioni fiscali (non più le agevolazioni prima casa, che dal 2014 sono ancorate anch’esse alla classificazione catastale).
Secondo la Cassazione, questo impianto normativo persegue lo scopo di consentire alla definizione del classamento di adattarsi all’evoluzione naturale del contesto. Una definizione normativamente fissata – sembra dire la Suprema Corte – rischierebbe di diventare anacronistica, mentre la possibilità di graduarla in base al “mutare del contesto spazio temporale” la rende “intrinsecamente attuale”. Inoltre, non mancano le fonti regolamentari, che integrano la disciplina così descritta, come ad esempio, la circolare “in tema di «accertamento e classamento» emanata il 24 maggio 1942 dalla Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali”.
Così, i giudici di legittimità in primo luogo negano che sia violata la riserva di legge (art. 23 Cost.), in quanto la normativa catastale (RDL 13 aprile 939 n. 652 e DPR 1 dicembre 1949 n. 1142) esiste, ma fa rinvio a criteri generali e astratti: in realtà, non manca la norma, bensì questa è ritenuta dal ricorrente non sufficientemente analitica, ma ciò rientra nella discrezionalità del legislatore.
Neppure sussiste la violazione dell’art. 53 Cost. in tema di progressività, in quanto la discrezionalità dell’azione amministrativa deputata a determinare il classamento degli immobili tende a garantire il criterio di progressività, non a violarlo, è il “cattivo esercizio di tale potere da parte delle amministrazioni” che potrebbe introdurre distorsioni.
In breve, scrive la Cassazione “sebbene manchi una definizione legislativa precisa, le categorie catastali si basano su criteri generali legati al contesto spazio temporale, che l’Amministrazione applica discrezionalmente, con controllo giurisdizionale per evitare abusi, ma garantendo al contempo il rispetto della valutazione individuale, caso per caso”.
Così, i giudici di legittimità non ritengono di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale.
Alla luce dei citati principi, il controllo giurisdizionale sull’operato dell’Amministrazione in questo campo, risulta particolarmente importante.
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