Il conduttore non può chiedere la riduzione del canone a causa del COVID
La norma del DL «Cura Italia» si limita a escludere l’imputabilità dell’inadempimento
Arriva in Cassazione l’interpretazione di una norma emergenziale (l’art. 91 del DL 18/2020, c.d. DL “Cura Italia”) che aveva generato numerosi dubbi interpretativi durante la pandemia da COVID 19.
La Suprema Corte, nella sentenza n. 16113 depositata 16 giugno, ha chiarito che la disposizione in questione rileva ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento del debitore, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all’azione di risoluzione per inadempimento, ma non consente al conduttore di ottenere riduzione del canone di locazione e, più in generale, al debitore di vedere ridotta la prestazione dovuta nell’ambito di un contratto a prestazioni continuate e periodiche.
Il caso deciso dai giudici di legittimità riguardava la locazione di un immobile ad uso commerciale, con riferimento alla quale il conduttore risultava moroso e per la quale il locatore otteneva un decreto ingiuntivo. Il conduttore chiedeva la riduzione del 50% dei canoni di locazione dovuti nel periodo del lockdown, in ragione della chiusura dell’attività commerciale, sulla base del principio di eterointegrazione e di buona fede nell’esecuzione del contratto (artt. 1374 e 1375 c.c.), nonché dell’art. 91 comma 1 del DL 18/2020. I giudici di merito respingevano le motivazioni del conduttore, il quale ricorreva per Cassazione. La Corte ha valutato inammissibili le domande, non mancando però di rilevare come, anche qualora le domande fossero state ammissibili, i motivi sarebbero comunque stati infondati.
L’art. 91 del DL 18/2020, si ricorda, prevedeva che “Il rispetto delle misure di contenimento [...] è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Secondo il ricorrente, tale disposizione fonderebbe il diritto del conduttore di ottenere una riduzione della prestazione dovuta.
La Cassazione ha osservato che l’art. 91 incide sull’imputabilità dell’inadempimento al debitore colpito dalle misure anti-Covid, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l’esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell’incidenza su tale rapporto delle misure restrittive anti-pandemiche.
Neppure è pertinente il richiamo al principio di buona fede e ai criteri di integrazione del contratto, in quanto il primo sancisce il dovere delle parti di osservare i canoni di reciproca lealtà e salvaguardia dell’utilità della controparte, nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio, nel momento della formazione del contratto (artt. 1337 e 1338 c.c.) e nello svolgimento specifico del rapporto contrattuale (art. 1375 c.c.); il secondo prevede l’etero-integrazione delle pattuizioni contrattuali in base alla legge, agli usi e all’equità (art. 1374 c.c.); nessuno dei due, però, attribuisce alle parti il diritto di ottenere una rettifica del contenuto del contratto e una modifica della prestazione.
La parte di un contratto sinallagmatico ad esecuzione continuata o periodica che voglia far valere il sopravvenuto imprevedibile aggravio della sua prestazione in relazione al valore dell’altra, ha a disposizione il solo rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; in questo contesto, la riduzione del contratto ad equità può essere azionato solo dalla controparte contro cui sia domandata la risoluzione al fine di evitarla, ai sensi dell’art. 1467 comma 3 c.c.
In questo caso, il diritto di rettifica è giustificato dal principio di conservazione del contratto e dalla circostanza che tale adeguamento riporta il divario tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto, ripristinando l’equilibrio originario e facendo venir meno i presupposti della risoluzione.
Un analogo diritto di rettifica è previsto in tema di contratto annullabile per errore (art. 1432 c.c.) e di contratto rescindibile (art. 1450 c.c.).
Al di fuori di queste ipotesi (a cui si aggiunge il potere di riduzione ad equità della prestazione nell’ipotesi di contratto a titolo gratuito ex art. 1468 c.c.), non è configurabile un diritto potestativo giudiziale di riduzione ad equità della prestazione per il sopravvenuto eccezionale squilibrio del sinallagma contrattuale dovuto ad eventi straordinari ed imprevedibili, stante il principio della tipicità delle azioni costitutive (art. 2908 c.c.).
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