Esterovestizione con effetti sulla sede anche ai fini IVA
Alcune recenti sentenze della Cassazione valorizzano la sede effettiva dell’attività
Con alcune sentenze “gemelle” nella motivazione, depositate il 20 giugno 2025 (nn. 16605, 16606, 16607, 16609), riferite alla medesima società, la Cassazione ha fornito la propria interpretazione in merito al luogo di stabilimento per le persone giuridiche, ai fini dell’applicazione dell’IVA.
Ai sensi dell’art. 7 lett. d) del DPR 633/72, per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato”, ai fini IVA, si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero le stabili organizzazioni di soggetti domiciliati e residenti all’estero (per le sole operazioni da queste rese o ricevute). Il medesimo art. 7 lett. d) precisa che, nel caso dei soggetti diversi dalle persone fisiche, per domicilio si considera “il luogo in cui si trova la sede legale”, mentre per “residenza” si considera il luogo “in cui si trova la sede effettiva”.
Proprio sulla nozione di “sede effettiva” dell’attività, per le persone giuridiche, si concentra la Cassazione. Le sentenze richiamate muovono i loro passi dalla contestazione di esterovestizione ai fini reddituali, vale a dire la presunzione di residenza in Italia, ai sensi dell’art. 73 comma 3 del TUIR, per i soggetti IRES che per la maggior parte del periodo d’imposta posseggono in Italia la sede legale, la sede di direzione effettiva ovvero la gestione ordinaria dell’attività in via principale. In particolare, per direzione effettiva, come espressamente previsto dal citato art. 73 (secondo le modifiche apportate dall’art. 2 del DLgs. 209/2023 dal periodo d’imposta 2024), si intende la “continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, una società sammarinese effettuava acquisti di beni da una società residente in Italia, la quale applicava il regime di non imponibilità IVA previsto per le cessioni all’esportazione (essendo il luogo di destinazione della merce uno Stato extra Ue), ai sensi degli artt. 8 e 71 del DPR 633/72.
Tuttavia, alla società sammarinese veniva contestata l’esterovestizione (ossia la sede di direzione effettiva in Italia), con il conseguente venir meno del regime di non imponibilità riservato alla cessione/acquisto dei beni. Negli accertamenti di fatto, in sede di merito, l’elemento della sede effettiva in Italia (invece che a San Marino) veniva confermato e, inoltre, si rilevava che la reale destinazione dei beni non era San Marino, bensì il territorio italiano.
Con le sentenze in commento, la Cassazione fa applicazione degli esiti dell’accertamento della sede “di fatto” in Italia anche in ambito IVA, senza per questo voler estendere la fattispecie dell’esterovestizione che, come normativamente previsto, opera per le sole imposte sui redditi. Peraltro, il riferimento al “periodo d’imposta” contenuto nell’art. 73 del TUIR non può assumere valenza ai fini IVA.
In merito all’individuazione della sede dell’attività di una società, agli effetti dell’IVA, la Cassazione si rifà anche ai principi contenuti nella giurisprudenza comunitaria, che ha affermato che la sede dell’attività economica corrisponde al “luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultimo” (Corte di Giustizia Ce 28 luglio 2007, causa C-73/06).
In relazione al principio unionale della libertà di stabilimento, poi, si conferma che è possibile attribuire prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società. Di per sé, una normativa nazionale non può comprimere la libertà di stabilimento di una società (anche quando abbia stabilito la propria residenza fiscale in un altro Stato membro al fine di godere di una legislazione più vantaggiosa), salvo siano costruite entità di puro artificio finalizzate a escludere la normativa dello Stato membro interessato (Corte di Giustizia Ce 12 settembre 2006, causa C-196/04).
In definitiva, se dalle risultanze di fatto emerge che una società è amministrata in Italia ed effettua la commercializzazione di beni nel territorio dello Stato, anche ai fini IVA è irrilevante il luogo in cui è stata fissata la sede legale (ossia San Marino), con tutto ciò che ne consegue per l’applicazione di tale tributo.
Nel caso di specie, stante il luogo di stabilimento in Italia del fornitore nonché il luogo di stabilimento del cessionario, la cessione doveva considerarsi territorialmente rilevante in Italia, senza la possibilità di beneficiare della non imponibilità IVA.
A conclusioni opposte, la Cassazione è pervenuta con la sentenza n. 23842 del 25 agosto 2025, in cui la contestazione di esterovestizione di una società di diritto portoghese con sede a Madeira era censurata, non essendo dimostrata la presenza di una sede effettiva in Italia.
Ai fini IVA, il motivo di ricorso risultava inammissibile. Tuttavia, nella sostanza, veniva confermato lo stabilimento all’estero (e non in Italia) della società committente, con il conseguente venir meno dell’obbligo di regolarizzare (art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97) le fatture emesse nei suoi confronti da società italiane in regime di non imponibilità IVA.
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