Indebita destinazione di fondi pubblici con ingiusto vantaggio patrimoniale
Gli investimenti rischiosi in banca non sono sufficienti a integrare il reato di peculato in mancanza della finalità privatistica perseguita
Termina con il proscioglimento un importante procedimento giudiziario avente per oggetto la presunta distrazione dei fondi di derivazione comunitaria, affidati dalla Regione Calabria ad una società in house per la realizzazione delle finalità dell’ente e quindi caratterizzati da destinazione vincolata.
L’accusa di peculato (art. 314 c.p.) – poi riqualificata nel più recente reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili (art. 314-bis c.p.) – era stata mossa non solo nei confronti degli amministratori della società pubblica (quali pubblici ufficiali), ma anche nei confronti del broker della banca in cui erano stati investiti i fondi asseritamente distratti.
La sentenza n. 30781, depositata ieri dalla Cassazione penale, conferma la non sussistenza del fatto ed enuncia alcuni principi interessanti relativi alla nuova fattispecie introdotta dal DL 92/2024 convertito, in vigore dal 10 agosto dell’anno scorso.
L’art. 314-bis c.p. prevede la punibilità, in via sussidiaria rispetto al peculato “tradizionale”, per il pubblico ufficiale o per l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del loro ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità. È richiesto il dolo di voler procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto. Peraltro la pena è aumentata quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori a 100.000 euro.
Come già precisato dalla pronuncia della Cassazione n. 4520/2025, il nuovo reato di indebita destinazione presenta, sul piano del fatto tipico oggettivo, il medesimo presupposto e l’oggetto materiale della condotta del peculato: il soggetto attivo del reato, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, deve, infatti, avere, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui. Allo stesso tempo il reato di cui all’art. 314-bis c.p. presenta più elementi dell’abuso d’ufficio (oggi abrogato): sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare, così come avveniva sotto l’art. 323 c.p., con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità. Corrispondente con l’abuso d’ufficio è, invece, l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui danno ingiusto) e l’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale.
Nel caso di specie viene esclusa la sussistenza del peculato ex art. 314 c.p. in quanto l’attuale formulazione della norma richiede la destinazione privatistica, incompatibile con quella pubblica, delle somme distratte dal fine al quale erano statutariamente vincolate, non essendo sufficiente a realizzare l’appropriazione la sola diversione dalla finalità istituzionale o la violazione di regole, siano esse contabili o di opportunità economica, nell’impiego delle somme. La Cassazione evidenzia come la fattispecie oggetto di questo giudizio sia incentrata sulla destinazione dei fondi comunitari a finalità di investimento non previste dallo statuto pubblico con una mancata ponderazione dei rischi correlati all’operazione di investimento; connotazioni della condotta che, come detto, non sono sufficienti a integrare il reato di peculato in mancanza della finalità privatistica perseguita.
Viene altrettanto esclusa la configurabilità del nuovo reato di cui all’art. 314-bis – quale “abuso d’ufficio distrattivo” – in quanto non sono stati accertati né l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui danno ingiusto) né il correlato dolo.
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