Antisindacale la condotta datoriale che non opera le trattenute a favore del sindacato
Utilizzabile la cessione del credito come strumento per ottenere il pagamento da parte delle organizzazioni sindacali delle quote associative
Deve ritenersi legittimo l’utilizzo della cessione del credito come strumento per ottenere il pagamento da parte delle organizzazioni sindacali delle quote associative: non esiste una norma che vieti al sindacato di conseguire il pagamento delle quote associative attraverso le trattenute sulla retribuzione dei dipendenti, né una tale disposizione è stata introdotta come effetto o a seguito del referendum abrogativo del 2° e 3° comma dell’art. 26 della L. 300/70.
In questi termini si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27722 di ieri, 17 ottobre 2025.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sul ricorso promosso da una datrice di lavoro avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto sussistente l’antisindacalità della condotta datoriale consistente nel non aver operato le trattenute sindacali sugli stipendi dei lavoratori richiedenti in favore del Cobas del Lavoro Privato.
In prima battuta, la Suprema Corte chiarisce come l’effetto del referendum menzionato – che giunse ad abrogare i commi 2 e 3 dell’art. 26 della L. 300/70 i quali, tra le altre cose, sancivano il diritto delle associazioni sindacali di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendevano loro versare – sia stato quello di espungere una norma e non quello di determinare l’interpretazione di altre disposizioni in vigore o di imporre effetti impeditivi, quali, ad esempio, un ipotetico divieto di cessione.
Ciò detto, emerge come la materia delle trattenute sindacali risulti disciplinata dall’autonomia privata e, in particolare, dal principio generale della libera cedibilità dei crediti sancito dall’art. 1260 c.c. Pertanto, in seguito alla cessione, il sindacato diviene titolare del credito ceduto, con conseguente obbligo dell’impresa datrice di adempiere secondo le disposizioni impartite dal lavoratore cedente: nel caso di specie, la datrice, non avendo operato le trattenute sindacali, risultava quindi inadempiente nei confronti del Cobas, dando luogo anche a un comportamento antisindacale, ai sensi dell’art. 28 della L. 300/70.
I giudici di legittimità, dichiarando così infondati i motivi di ricorso formulati dalla datrice, aggiungono poi un ulteriore tassello.
La datrice di lavoro sosteneva, infatti, che in tale fattispecie opererebbe il divieto di cui all’art. 1 del DPR 180/50, in forza del quale non possono essere sequestrati, pignorati e ceduti i salari e le paghe, salvo le eccezioni previste dalla legge. Tuttavia, afferma lapidariamente la Cassazione, la corretta interpretazione del corpus normativo sorregge tutt’al più la conclusione – fatta propria anche dalla Corte di merito – per cui il menzionato DPR 180/50 non vieta ai lavoratori dipendenti di utilizzare lo strumento della cessione del credito retributivo per il pagamento delle quote associative alle organizzazioni sindacali, trattandosi, a ben vedere, di una fattispecie derogatoria consentita dalla stessa normativa ai sensi del successivo art. 52, il quale prevede il diritto dei lavoratori di cedere quote della retribuzione, per finalità diverse dall’estinzione dei debiti.
Anzi, la tesi prospettata dalla datrice, concludono i giudici di legittimità, solleverebbe un sospetto di illegittimità costituzionale della normativa, per contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost., laddove si tradurrebbe in “un illogico impedimento del sostegno volontario dei lavoratori all’efficace esplicarsi della azione sindacale protetta dalla Costituzione come strumento per l’elevazione dei medesimi lavoratori e con essi dell’intero Paese ed introdurrebbe un divieto di cessione che si pone esplicitamente contro la giurisprudenza di questa Corte”.
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