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IL CASO DEL GIORNO

Prestazione a titolo oneroso anche se il corrispettivo è pagato da un terzo

/ Luca BILANCINI

Lunedì, 10 novembre 2025

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Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza europea, una prestazione di servizi può definirsi “a titolo oneroso”, ai sensi dell’art. 2 § 1 lett. c) della direttiva 2006/112/Ce, se esiste un “nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo” (ex multis Corte di Giustizia 15 aprile 2021 causa C-846/19).

Tuttavia questo “nesso diretto” viene meno nel caso in cui la remunerazione sia concessa “in modo puramente gratuito e aleatorio”, sicché l’importo del suddetto corrispettivo diviene impossibile da determinare, difficilmente quantificabile o incerto (Corte di Giustizia C-288/22, C-16/93 e C-432/15).

Ciò premesso, ci si chiede se possa essere ritenuta “a titolo oneroso” l’assistenza in giudizio prestata da un avvocato che in origine doveva essere resa gratuitamente all’assistito, ma che, al positivo esito del processo, è stata remunerata dalla controparte soccombente.

Il caso, oggetto della sentenza 23 ottobre 2025 relativa alla causa C-744/23, che nasce dal peculiare trattamento del patrocinio legale gratuito nell’ordinamento bulgaro, ha consentito alla Corte di Giustizia Ue di tornare sui principi espressi in passato (causa C-16/93, “Tolsma” e C-432/15, “Baštová”), in ordine all’aleatorietà dei compensi, nonché sulla nozione di prestazione “a titolo oneroso”.

Come accennato, la normativa bulgara ammette che possano essere rese gratuitamente prestazioni forensi a persone che si trovino in difficoltà economiche; nondimeno, in caso di esito vittorioso del giudizio, l’avvocato ha diritto alla corresponsione di un onorario stabilito dal giudice.

Nelle sentenze “Tolsma” (C-16/93) e “Baštová” (C-432/15), i giudici dell’Unione europea avevano affermato che l’incertezza dell’esistenza di una remunerazione può “spezzare” il nesso diretto fra il servizio reso al beneficiario e la remunerazione eventualmente ricevuta. La Corte sottolinea, tuttavia, come i fatti di causa relativi alle sentenze menzionate si discostino da quello in esame.

La prima (C-16/93, “Tolsma”) riguardava un musicista di strada che riceveva offerte dai passanti. Gli introiti non costituivano, in tale circostanza, il corrispettivo di un servizio reso, posto che non esisteva alcun accordo fra le parti (l’obolo era versato volontariamente e in misura stabilita arbitrariamente dall’offerente), né una correlazione fra la prestazione musicale e le relative offerte.

Come rilevato dall’Avvocato generale nelle conclusioni relative alla causa C-744/23, nel caso di specie “il soggetto soccombente non paga in funzione di motivazioni personali o in base a considerazioni di simpatia. I pagamenti effettuati dal soggetto soccombente non sono né volontari né aleatori. Piuttosto, essi sono determinati, nell’an e nel quantum, dalla legge” (conclusioni dell’Avvocato generale, causa C-744/23, punto 61).

La seconda sentenza (C-432/15, “Baštová”) verteva, invece, sul fatto che il premio di una gara ippica potesse essere considerato alla stregua di un corrispettivo per la prestazione del vincitore. La Corte rispondeva in senso negativo, in ragione dell’alea che contraddistingue la corsa e, in particolare, a motivo del fatto che la nozione di prestazione di servizi “possiede un carattere oggettivo e si applica a prescindere” dalle “finalità e dai risultati delle operazioni coinvolte” (C-432/15, punto 38). In altre parole, citando ancora l’Avvocato generale, il premio non fa riferimento “ad un’attività (ad esempio la partecipazione alla corsa), bensì costituisce unicamente il riconoscimento e rispettivamente la ricompensa per la vittoria” (conclusioni cit., p.to 64).

Esiste, invece, un “nesso diretto” tra la difesa in giudizio resa dal legale e gli onorari versati. Non rileva, in senso contrario, il fatto che il corrispettivo sia pagato dal soccombente, non occorrendo che a ciò provveda direttamente il destinatario della prestazione (causa C-744/23, punto 27; cfr. anche art. 73 della direttiva 2006/112/Ce).

Né incide l’alea riguardante l’esito del processo, posto che una volta che questo si sia risolto positivamente, l’onorario diviene certo anche nel suo ammontare, determinato dal giudice, rappresentando pertanto l’effettiva remunerazione della prestazione consistente nella rappresentanza in giudizio.

È appena il caso di rilevare che fermi restando i principi stabiliti dai giudici della Corte, l’ordinamento italiano prevede un diverso trattamento del patrocinio gratuito, atteso che l’assistenza alle persone meno abbienti è a carico dello Stato. Ciò ne determina, inevitabilmente, l’onerosità.

Va detto, inoltre, che anche nel caso in cui il legale decida di prestare la propria assistenza gratuitamente (“pro bono”), l’operazione sarà comunque rilevante ai fini IVA nel caso in cui sia resa per finalità estranee all’esercizio dell’impresa, cioè a dire laddove sia volta essenzialmente a realizzare un vantaggio per il solo beneficiario (sempre che, in ogni caso, l’IVA afferente agli acquisti effettuati per l’esecuzione della prestazione sia detraibile e il costo unitario della stessa sia superiore a 50 euro; art. 3 comma 3 del DPR 633/72).

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