Sospensione dell’avvocato anche con condanna non definitiva
Al fine del limite annuale, la sospensione comminata in sede penale non si somma a quella cautelare applicata dal consiglio forense
Le Sezioni Unite della Cassazione, con l’ordinanza n. 11464/2025, si sono pronunciate su una vicenda che coinvolgeva un avvocato, condannato in sede penale, per bancarotta, alla pena detentiva di 7 anni di reclusione.
In particolare, l’oggetto della decisione verte sulla legittimità del provvedimento con cui il consiglio distrettuale di disciplina forense aveva applicato, nel caso di specie, la sospensione in via cautelare per 8 mesi dalla professione, ai sensi dell’art. 60 della L. 247/2012 (legge sull’ordinamento forense).
Il professionista aveva fatto ricorso avvero tale decisione innanzi al Consiglio nazionale forense che, però, aveva rigettato l’impugnazione che è giunta, quindi, di fronte alla Suprema Corte.
Tra le varie questioni esaminate nei numerosi motivi di ricorso, è possibile soffermarsi su tre punti:
- la possibilità di rinvenire la condizione del c.d. “strepitus fori” (che potremmo tradurre con “clamore o allarme della piazza”) anche in presenza di un solo articolo di giornale che abbia dato notizia della condanna;
- la possibilità di applicare la sospensione anche in presenza di una condanna non definitiva;
- le corrette modalità di conteggio del limite annuale della sospensione cautelare, previsto dall’art. 60 della L. 247/2012, con specifico riferimento alla necessità di sommare alla sospensione cautelare inflitta dal consiglio forense quella derivante dalla condanna penale.
Per comprendere appieno il contenuto della decisione, è utile riprendere il contenuto dell’art. 60 della L. 247/2012, il quale sancisce che “La sospensione cautelare dall’esercizio della professione o dal tirocinio può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento...” in diverse ipotesi elencate dalla norma stessa, tra cui, per ultime, sono citate: la “condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640 e 646 del codice penale, se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione o del tirocinio, 244, 648-bis e 648-ter del medesimo codice”; la “condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni”.
Inoltre, il comma 2 della medesima norma sancisce che la “sospensione cautelare può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno”.
Alla luce di tale disciplina, secondo le Sezioni Unite, la motivazione addotta dal CNF nel rigettare il ricorso dell’avvocato è esente da vizi.
In prima battuta, l’ordinanza evidenzia che, sebbene usi il verbo “potere”, la norma non attribuisce al Consiglio distrettuale alcun arbitrio nel decidere se applicare o meno la misura: in presenza delle condizioni di legge (tra cui la condanna a pena detentiva superiore a 3 anni), la sospensione va applicata e il giudicante è libero di fornire la motivazione (purché non apparente). Nel caso di specie, correttamente, il CNF ha tratteggiato la motivazione rilevando che lo “strepitus fori”, che costituisce la ratio della misura, ben può ritenersi integrato dall’“eco di notorietà dei fatti derivante da una pronuncia di pubblica condanna penale”, in forza della “naturale diffusività della notizia procurata dalla pubblicità del dibattimento penale” (in caso di sentenza di condanna penale) a prescindere dal numero di articoli di giornale pubblicati sul punto.
Per quanto concerne, invece, il secondo punto, le Sezioni Unite rigettano la tesi secondo cui, nell’individuare l’ultima causa di sospensione nella “condanna a pena detentiva non inferiore a 3 anni”, il legislatore, non avendo riproposto la precisazione “con sentenza di primo grado” (che è presente, invece, nei precedenti punti dell’elenco), avrebbe inteso, a contrario, richiamare solo la sentenza definitiva.
I giudici di legittimità non condividono questa lettura, ritenendo che, invece, una corretta lettura della norma non richieda il passaggio in giudicato della sentenza che ha inflitto la pena, posto che l’opposta lettura proposta dal ricorrente produrrebbe un risultato incoerente, consentendo di applicare la misura cautelare della sospensione solo quando, ormai, divenuta inutile a tutelare l’onore della categoria, in quanto mera duplicazione della sanzione definitiva.
Anche in merito all’ultimo profilo, il motivo di ricorso proposto dal professionista viene rigettato: nel limite annuale della sospensione, fissato dall’art. 60 della L. 247/2012, non si computano sia la sanzione adottata in sede disciplinare che quella inflitta dal giudice penale, avendo i due provvedimenti scopi diversi. La sospensione decisa dal giudice penale mira a tutelare l’ordine pubblico, mentre quella applicata dall’Ordine mira a proteggere la funzione sociale dell’ordine forense. Infatti – spiegano le Sezioni Unite – va precisato come la sospensione adottata in sede disciplinare non rappresenti, in realtà, una sanzione disciplinare, ma configuri “un provvedimento amministrativo di carattere precauzionale e provvisorio svincolato dalle forme e dalle garanzie del procedimento disciplinare”, che persegue lo scopo “di salvaguardare la dignità e il prestigio dell’ordine forense”, tutelando l’immagine della categoria “che è il risultato della reputazione di ognuno”.
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