Eccezione e domanda riconvenzionale con analogie e differenze
Nella compensazione impropria inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle eccezioni
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1060/2025, ha rimarcato i principi già espressi dal consolidato orientamento di legittimità in tema di sottoposizione al giudizio fallimentare dell’eccezione di compensazione.
Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice, ottenendone il rigetto totale o parziale.
Il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. del RD 267/42 trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale tesa a una pronuncia, a sé favorevole, idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte in seguito alla compensazione.
Nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito contrattuale del fallito, invece, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. del RD 267/42, atteso che tale eccezione – diversamente dalla corrispondente domanda riconvenzionale – è diretta soltanto a neutralizzare la domanda attrice e a ottenerne il rigetto, totale o parziale (Cass. nn. 12255/2022 e 30298/2017).
La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, ovvero dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, ovvero dal risultato processuale che lo stesso intende ottenere, che è limitato, nel caso dell’eccezione riconvenzionale, al rigetto della domanda proposta dall’attore.
Ne deriva che non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati, a loro fondamento, fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore e in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande.
Nell’ipotesi in cui il convenuto chieda, in via riconvenzionale, che venga accertata l’esistenza di un rapporto contrattuale diverso da quello prospettato dall’attore – sull’assunto che da ciò ne deriverebbe la nullità o l’inefficacia, totale o parziale, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall’attore medesimo – domandando, altresì, anche l’eventuale condanna di quest’ultimo al pagamento di quanto dovuto in base a tale differente prospettazione, e tale domanda risulti inammissibile per motivi processuali, la stessa può (e deve) essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle richieste di parte attrice.
In merito alla natura impropria o atecnica della compensazione e alle conseguenze che ne derivano – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – nel caso in cui i debiti e i crediti di due soggetti abbiano origine da un unico (ancorché complesso) rapporto, non è configurabile un’ipotesi di compensazione “propria”, ravvisandosi, invece, la necessità, per il giudice, di operare un accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, anche in assenza di eccezioni ovvero domande riconvenzionali (c.d. compensazione “impropria”).
Tale accertamento, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale.
La compensazione in senso tecnico (o propria), inoltre, postula l’autonomia dei contrapposti rapporti di debito/credito e non è configurabile allorché essi traggano origine da un unico rapporto.
Nell’ipotesi di una compensazione c.d. impropria, il calcolo delle somme a credito e a debito può essere compiuto dal giudice anche d’ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda, mentre restano inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni.
In tale ipotesi, pertanto, quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, il giudice si limita a verificare le reciproche partite di dare e avere – anche in assenza di eccezioni ovvero domande riconvenzionali – purché tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto, diversamente, si verificherebbe un (non consentito) ampliamento del thema decidendum.
A tal fine, non assume rilievo il carattere ufficioso dell’eccezione anche in grado d’appello in difetto delle necessarie allegazioni.
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