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Atto di fusione iscritto con effetto sanante anche in pendenza di opposizione del creditore

Il creditore può, ex post, esercitare l’azione revocatoria

/ Maurizio MEOLI

Martedì, 24 giugno 2025

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La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 16689, depositata il 22 giugno, ha stabilito che la sanatoria delle invalidità dell’atto di fusione in esito alle iscrizioni nel Registro delle imprese, di cui all’art. 2504-quater comma 1 c.c., attiene a qualunque vizio o irregolarità, incluso quello dell’esecuzione dell’operazione di fusione in pendenza dell’opposizione del creditore ex art. 2503 c.c. L’adempimento pubblicitario sana anche questo vizio, lasciando al creditore opponente pregiudicato unicamente la tutela risarcitoria di cui all’art. 2504-quater comma 2 c.c.
La negazione della tutela reale, peraltro, non preclude al creditore la possibilità di agire a tutela del suo interesse alla conservazione della garanzia patrimoniale, sia pure ex post, mediante l’esercizio dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.

Rispetto a ciò non è corretto eccepire che l’effetto sanante sancito dall’art. 2504-quater comma 1 c.c. presupporrebbe una fusione efficace e che l’ordinamento conosce rimedi volti a rendere inopponibili nei confronti del singolo creditore la delibera di fusione che indebitamente pregiudichi i suoi interessi, quale, appunto, l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., con cui l’opposizione ex art. 2503 c.c. condividerebbe, nella sostanza, il risultato perseguito.

Per giungere a tali conclusioni la Suprema Corte rileva, innanzitutto, come l’atto di fusione rappresenti il momento finale di un procedimento a formazione progressiva che inizia con la predisposizione del progetto di fusione, prosegue con la delibera assembleare approvativa e si conclude con l’iscrizione dell’atto di fusione nel Registro delle imprese, dando esecuzione all’operazione.

L’art. 2504-quater comma 1 c.c. attribuisce all’iscrizione dell’atto di fusione l’effetto di precluderne la dichiarazione di invalidità. La norma intende assicurare la certezza e la stabilità dell’atto, salvaguardando l’affidamento dei terzi, in considerazione del fatto che la sua eliminazione rischierebbe di travolgere gli effetti dell’avvenuta integrazione di realtà societarie ormai non più agevolmente districabili l’una dall’altra.
È dalla complessità degli effetti che derivano dall’atto di fusione – con particolare riguardo alla natura organizzativa dell’atto – e dall’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi che entrano in rapporto con la società post fusione che deriva l’inopportunità di soluzioni demolitorie ex tunc di tali effetti, una volta prodottisi.

Sussiste, dunque, una preclusione di carattere assoluto che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, quanto le ipotesi in cui i vizi attengano al procedimento di formazione dell’atto e alla sua iscrizione (cfr. Cass. n. 28242/2005). Preclusione coerente con il favor che il legislatore della riforma del diritto societario ha mostrato per la tutela obbligatoria, in luogo di quella reale, delle situazioni giuridiche soggettive incise da atti societari.

L’ambito di operatività dell’effetto sanante, quindi, si estende a tutte le forme di inosservanza della disciplina, sostanziale e procedimentale, della fusione.
Solo quando gli eventuali vizi o le possibili lacune del procedimento di fusione, conclusosi con il citato adempimento pubblicitario, determinino uno stravolgimento del procedimento tale da apparire manifestamente irriconoscibile nei suoi tratti essenziali, anche ai terzi, potrebbe ipotizzarsi l’inesistenza giuridica dell’atto di fusione iscritto nel Registro delle imprese.

Quanto, poi, all’invocato rapporto tra opposizione alla fusione e azione revocatoria, la Suprema Corte osserva come, nel caso di specie, l’inefficacia relativa della delibera di fusione venisse invocata non già alla luce della sussistenza dei requisiti per l’accoglimento dell’opposizione (come richiederebbe l’accoglimento della revocatoria), ma perché il giudizio di opposizione era divenuto improcedibile per un fatto riconducibile alla volontà degli amministratori della società.
Questa circostanza, però, attiene alle condizioni di formazione dell’atto di fusione e, dunque, alla sua validità e non alla sua efficacia.

Inoltre, benché i rimedi dell’azione revocatoria e del diritto di opposizione presentino “sostanziali assonanze” sotto il profilo funzionale – perché entrambi strumentali alla conservazione della garanzia patrimoniale generica della società debitrice – il primo mira a ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, rendendolo inopponibile al solo creditore pregiudicato, mentre il secondo è finalizzato a farne valere l’invalidità.
Di conseguenza, anche assimilando l’iscrizione della delibera di fusione in pendenza di un’opposizione all’accoglimento dell’opposizione medesima, il vizio che ne deriverebbe sarebbe invalidante di tale delibera e, come tale, soggiacerebbe all’effetto sanante di cui all’art. 2504-quater comma 1 c.c.

A ogni modo – conclude la decisione in commento – da un lato, la tutela risarcitoria non può ritenersi inadeguata o non effettiva e, dall’altro, la negazione della invocata tutela reale non preclude al creditore la possibilità di far valere ex post il proprio interesse alla conservazione della garanzia patrimoniale mediante l’esercizio dell’azione revocatoria.

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