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LAVORO & PREVIDENZA

Indennità supplementare anche se non è sottoscritto il verbale di conciliazione

Per la Cassazione rilevano i comportamenti ostruzionistici dell’azienda

/ Federico ANDREOZZI

Mercoledì, 10 settembre 2025

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La Cassazione, con l’ordinanza n. 24849 depositata ieri, 9 settembre 2025, ha affrontato una controversia che vedeva protagonista un dirigente IVECO, assunto dal 1984 al 2016, il quale aveva adito l’autorità giudiziaria per conseguire, tra le altre cose, l’indennità supplementare prevista dall’art. 25 del CCL per i dirigenti di aziende FCA e CNH Industrial del 2 marzo 2016.

Detta norma contrattuale collettiva prevede, al primo comma, che, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa dell’azienda – con esclusione dei licenziamenti per giusta causa o disposti nel periodo di prova –, la stessa, ferma restando la preventiva sottoscrizione dello specifico verbale di conciliazione di cui al comma 8 del medesimo articolo, riconosca al dirigente un’indennità supplementare al preavviso correlata all’età del dirigente. L’ottavo comma precisa, poi, che gli importi spettanti in forza di tale disposizione sono riconosciuti previa sottoscrizione di un apposito verbale di conciliazione in sede sindacale ai sensi dell’art. 411 comma 3 c.p.c., attestante la rinuncia all’impugnazione della risoluzione del rapporto di lavoro a fronte del riconoscimento di tali spettanze.

Nel caso di specie, il lavoratore, dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento e approssimandosi la scadenza del termine di 60 giorni previsto dalla legge, si era tuttavia visto costretto a impugnarlo in sede stragiudiziale stante la mancata comunicazione dell’azienda circa il luogo e la data per la sottoscrizione del verbale di conciliazione sindacale.

La Corte d’Appello di Torino, chiamata a pronunciarsi sulla controversia, aveva preliminarmente osservato come il CCL in esame preveda il licenziamento ad nutum, disponendo che le società del gruppo FCA possano recedere liberamente dai rapporti di lavoro dirigenziale; il dipendente licenziato può però ottenere l’indennità supplementare a condizione di rinunciare all’impugnazione del licenziamento, sottoscrivendo il verbale di conciliazione sindacale di cui al menzionato comma 8 dell’art. 25.

Ciò detto, i giudici di seconde cure avevano quindi ricostruito la fattispecie quale negozio giuridico sottoposto a condizione sospensiva ex art. 1352 c.c.: l’azienda, in pendenza della condizione, avrebbe dovuto comportarsi secondo buona fede, per conservare integre le ragioni dell’altra parte, ai sensi dell’art. 1358 c.c., fornendo, nello specifico, indicazioni circa il luogo e la data in cui, nei termini di legge, le parti avrebbero potuto incontrarsi per sottoscrivere il verbale. Quindi, era stato riconosciuto il diritto del dirigente a ottenere il pagamento dell’indennità supplementare nonostante la mancata sottoscrizione del verbale di conciliazione, derivante direttamente dalla finzione di avveramento di cui all’art. 1359 c.c.; la mancata stipulazione del verbale di conciliazione era difatti dipesa dal comportamento contrario a buona fede dell’azienda.

A fronte di ciò, l’azienda aveva rilevato, con il ricorso in Cassazione, tra le altre cose, come la finzione di avveramento di cui all’art. 1359 c.c. non potesse trovare applicazione alle condizioni potestative ovvero alle condizioni bilaterali, sostenendo che, nella fattispecie di cui all’art. 25 delle CCL, ciascuna delle parti avesse un proprio interesse alla sottoscrizione del verbale e, quindi, al verificarsi della condizione.

Investiti della vicenda, i giudici di legittimità rigettano le ragioni della datrice, aderendo alle argomentazioni della Corte torinese e chiarendo come l’istituto di cui all’art. 1359 c.c. si sostanzi in un rimedio risarcitorio in forma specifica, volto a riparare le conseguenze dannose del comportamento scorretto di uno dei contraenti, che si applica nel caso in cui l’evento dedotto in condizione non si verifichi per causa imputabile alla parte con un interesse contrario all’avveramento.

La Corte quindi evidenzia che, in base alla ricostruzione dei fatti così come accertata, la condizione sospensiva in esame sia stata correttamente interpretata dai giudici di merito come dipendente dal comportamento complessivo delle parti tenuto nell’ambito della procedura diretta alla sottoscrizione del verbale di conciliazione e non alla mera libertà di azione di una di esse, considerando altresì come la società non avesse alcun interesse al verificarsi di tale condizione.

Infine, merita un cenno quanto chiarito dalla Corte con riferimento all’individuazione delle voci che concorrono al calcolo delle spettanze di fine rapporto e alla derogabilità delle disposizioni di legge ad opera della contrattazione collettiva. In particolare, i giudici di legittimità ribadiscono come l’art. 2120 c.c. sia ispirato al principio della onnicomprensività della retribuzione da prendere a base del TFR, principio che può essere derogato solo dai contratti collettivi stipulati successivamente all’entrata in vigore della normativa e a condizione che gli stessi ne prevedano la deroga in modo preciso e puntuale (circostanza che, nel caso di specie, non si verificava).

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