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IMPRESA

Imprese inclusive e sostenibili con la partecipazione dei lavoratori

I meccanismi introdotti non sono una mera facoltà, ma un’opportunità e un presupposto necessario verso una governance collaborativa

/ Alessandro BAUDINO, Giuseppe CHIAPPERO e Elena ORSI

Lunedì, 22 settembre 2025

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Il testo della L. 15 maggio 2025 n. 76 (recante “Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese”), approvato dopo numerosi emendamenti ed entrato in vigore il 10 giugno 2025, è stato criticato per aver rimesso alla discrezionalità delle imprese la decisione in ordine all’adozione di strumenti partecipativi.

A tal riguardo, occorre considerare che il legislatore ha dovuto necessariamente prendere atto della tradizionale resistenza dell’imprenditoria italiana ad accettare meccanismi partecipativi nei processi decisionali dell’impresa: resistenza che spiega lo scarso successo avuto in Italia dalla “Società europea” (istituita con il Regolamento Ue n. 2157/2001 e resa operativa in Italia dal DLgs. 188/2005 sul coinvolgimento dei lavoratori), il cui Statuto deve necessariamente prevedere la costituzione di un “organo di rappresentanza che sarà l’interlocutore degli organi competenti della SE nel quadro dei dispositivi di informazione e di consultazione dei lavoratori di quest’ultima e delle sue affiliate e dipendenze” (art. 4 comma 2 del DLgs. 188/2005).

In realtà, se si esclude il caso delle imprese sociali – che, a norma del DLgs. 112/2017, devono obbligatoriamente prevedere “adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti” mediante la creazione di meccanismi “di consultazione o di partecipazione” idonei ad “esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale” –, la partecipazione dei lavoratori al capitale, agli utili e alla governance delle imprese è sempre stata prevista dal legislatore come una facoltà, incentivata con benefici di carattere fiscale o economico.

Questa facoltà è stata tuttavia ampiamente sfruttata e tradotta in un’opportunità da quelle imprese (anche medie o medio piccole) che hanno saputo individuare nella condivisione degli obiettivi e nel lavoro di squadra una strategia vincente per aggredire il mercato, crescere e creare valore durevole. È questo il caso, per esempio, del sempre più frequente ricorso ai piani di stock option, al “work for equity” nelle start up, alla erogazione dei premi di risultato e partecipazione agli utili di impresa con tassazione agevolata per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro (ex art. 1 comma 182 della L. 208/2015, come integrata dal DM 25 marzo 2016).

Sotto altro profilo, la partecipazione agli organi amministrativi (CdA, consiglio di sorveglianza) comporta l’assunzione di una delicata responsabilità, che non è affatto mitigata dalla circostanza che chi riveste la carica sia un lavoratore o un rappresentante di gruppi di lavoratori.
Anche sotto questo profilo appare quindi del tutto ragionevole la scelta del legislatore di non imporre soluzioni predeterminate, ma di lasciare alle aziende la libertà di negoziare con i lavoratori le soluzioni più opportune per un loro proficuo coinvolgimento.

Le nuove disposizioni assumono tuttavia una portata e una cogenza ben più ampie se vengono calate in un contesto normativo – nazionale e comunitario – caratterizzato da una forte spinta verso la transizione dal modello tradizionale di impresa, intesa come organizzazione di mezzi (artt. 2082 e 2086 c.c.) gestita secondo una logica competitiva, ad un più evoluto e complesso concetto di impresa, in cui sono al centro le persone e in cui tutti gli attori (azionisti, manager, lavoratori e stakeholder) collaborano per il raggiungimento di obiettivi comuni secondo un modello di governance collaborativa (si veda “Governance collaborativa per la continuità e sostenibilità dell’impresa” dell’8 novembre 2023).

Con la L. 76/2025 il riconoscimento del “diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” (art. 46 Cost.) si coniuga con gli obblighi di solidarietà civile, economica e sociale dettati dall’art. 2 Cost. e dall’art. 2 del Trattato Ue e con le disposizioni comunitarie in tema di obiettivi ESG, con la finalità (espressamente enunciata all’art. 1) di creare un’impresa in cui il progresso sostenibile avviene mediante la cooperazione di tutti i soggetti, che – con diversi ruoli, compiti e responsabilità – sono chiamati a condividere i progetti aziendali e costruire valore durevole (economico, sociale, occupazionale) per sé e per tutti gli stakeholder.

Nella versione attualmente in vigore degli ESRS, approvati con regolamento delegato Ue 2772/2023, le imprese sono tenute, ai fini dell’analisi di doppia rilevanza per individuare i temi ESG da rendicontare, a considerare gli impatti, rischi e opportunità sottesi ad una serie di questioni di sostenibilità fra cui, come da RA 16 di ESRS 1, il “dialogo sociale”, la “libertà di associazione, esistenza di comitati aziendali e diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori”, nonché la “contrattazione collettiva, inclusa la percentuale di lavoratori coperti da contratti collettivi”.

Nei Draft Amended ESRS, pubblicati da EFRAG il 31 luglio 2025 nell’ambito del cosiddetto pacchetto Omnibus (si veda “Rendicontazione di sostenibilità in progress” del 2 agosto 2025), in fase di consultazione pubblica fino al 29 settembre 2025, tale prescrizione è rimasta ma viene derubricata, nell’ambito dell’Appendice A List of Topics del Draft Amended ESRS 1 luglio 2025, a non binding guidance: ciò in sintonia col principio che i nuovi ESRS revisionati e semplificati enfatizzano il criterio della fair presentation piuttosto che quello della compliance ad una check list di topics da considerare.

Cionondimeno, posto che né gli standard di rendicontazione ESRS, né gli standard semplificati VME, utilizzabili dalle PMI che vogliano perseguire su base volontaria gli obiettivi di sostenibilità ESG, prevedono – in tema di rendicontazione in ordine ai fattori Social e Governance – l’obbligo di comunicare se e quali strumenti partecipativi l’impresa abbia adottato, la nuova filosofia di rendicontazione sottesa al processo di semplificazione degli ESRS pare lasciare spazio al discernimento dei preparers nell’includere nel report ESG anche tale tipo di informazioni.

Alla luce del nuovo quadro normativo in evoluzione, pare tuttavia difficile possa definirsi “compliant” una società che non adotti un qualche strumento di coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione dell’impresa e non ne dia riscontro nell’ambito del report di sostenibilità.

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