Principio volontario VSME applicabile oltre il suo perimetro di raccomandazione
Entro le medie dimensioni, potrebbe essere impiegato da ogni impresa, societaria o meno, non quotata e dai lavoratori autonomi
Il principio volontario sul sustainability reporting non obbligatorio di cui alla raccomandazione (Ue) 2025/1710 – che, nella sostanza, è il VSME dell’EFRAG – ha un ambito d’applicazione che va ben oltre il perimetro dei soggetti a cui la Commissione europea l’ha raccomandato: purché non si superino le “medie dimensioni”, potrebbe essere infatti applicato da qualsiasi impresa (societaria o meno) non quotata e dai lavoratori autonomi (compresi i professionisti).
A parere di chi scrive, per arrivare a tale interpretazione va considerato in primis il perimetro di quella che è la raccomandazione chiave, contenuta nel punto 1, dell’atto unionale: “La Commissione raccomanda alle microimprese e alle PMI non quotate che intendono comunicare volontariamente informazioni sulla sostenibilità di attenersi al principio volontario di rendicontazione di sostenibilità di cui all’allegato I”.
Sui concetti di microimpresa e di PMI, le definizioni all’inizio dell’atto in parola rinviano, rispettivamente, al § 1 e ai §§ 2 e 3 dell’art. 3 della direttiva 2013/34/Ue. Ciò impone, è il primo step, di restringere tali concetti alle tipologie o, meglio, forme d’impresa cui si applica quest’ultima fonte: si tratta, declinandone l’art. 1 nel contesto italiano, delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata nonché delle rarissime società in nome collettivo e in accomandita semplice riconducibili nella sua lettera b). Le imprese così individuate rilevano però, è il secondo step, solamente se di micro, piccole e/o medie dimensioni o, detto in altri termini, se non superano le medie dimensioni: tali classi sono definite nei citati §§ 1, 2 e 3, a cui si rinvia per i dettagli, tramite specifiche soglie.
Il punto 1 della raccomandazione (Ue) 2025/1710 fa poi riferimento, è il terzo step, all’essere non quotate: ricorrendo a quest’ultima, si veda il punto 2 dello standard volontario, si tratta di soggetti “i cui valori mobiliari non sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato dell’Unione europea”. Ci si può chiedere se lo status in parola vada riferito però sia alle microimprese che alle PMI oppure solo a queste ultime. Seguendo un approccio pragmatico, rispetto a uno strettamente ermeneutico, si noti come il principio volontario sia pensato per imprese non quotate – a prescindere che siano micro, piccole o medie – come desumibile dalla stessa denominazione estesa del VSME presente all’inizio di pag. 2 del suo testo originale.
Ad avviso di chi scrive, stante quanto sostenuto e in attesa di chiarimenti/interventi ulteriori, il perimetro cercato racchiuderebbe dunque qualsiasi impresa che soddisfi, focalizzandosi sul contesto italiano, tutte le condizioni seguenti:
- essere una società di capitali o una delle rarissime società di persone di cui sopra;
- non superare le medie dimensioni;
- non essere quotata.
Si precisa, infine, come tale circoscrizione non riguardi le microimprese e le PMI di Paesi terzi ex punto 2 dell’atto della Commissione europea: a loro, infatti, non si raccomanda lo standard volontario, se ne consente meramente l’utilizzo.
Il perimetro così definito riguarda sì un numero enorme di soggetti, che è però ben inferiore al sovrainsieme di quelli a cui, ad avviso di chi scrive, il principio volontario fa riferimento ossia al suo ambito di applicazione espresso, con tenore perfettibile, nei suoi punti 2 e 3.
L’identità fra l’ambito e il perimetro in parola, possibile equivoco di una rapida lettura dei due punti, è infatti messa in discussione dalla breve nota (1) del punto 2: fra le imprese, ai fini dell’ambito di applicazione, si comprendono pure “lavoratori autonomi, imprese non costituite in forma societaria e microimprese quotate”.
Una prima considerazione riguarda il riferimento a queste ultime: non ne comprendiamo il motivo visto che, come già detto, lo standard volontario è pensato per imprese non quotate (come espressamente previsto, peraltro, nel punto menzionato).
Una seconda considerazione attiene alla mancata menzione delle tipologie d’impresa societaria diverse da quelle cui si applica la direttiva 2013/34/Ue: il generico riferimento della nota (1) alle imprese non societarie e, addirittura, ai lavoratori autonomi potrebbe far pensare a una mera “dimenticanza” superabile, si crede, in via interpretativa.
Pure qui in attesa di chiarimenti/interventi ulteriori, l’ambito di applicazione del principio volontario riguarderebbe dunque, purché non superino le medie dimensioni, i seguenti soggetti: qualsiasi impresa (societaria o meno) – si pensi, limitando le esemplificazioni legate al contesto italiano alle forme più note, a qualsiasi impresa individuale, società di persone e società di capitali – non quotata; i lavoratori autonomi (compresi i professionisti), per cui il limite dimensionale menzionato appare comunque meno pregnante, al limite del teorico.
Tale circoscrizione si potrebbe inoltre estendere, si tratta in ogni caso di uno standard volontario, a soggetti analoghi a quelli menzionati ma di Paesi terzi salvo eventuali cause (in primis normative) ostative.
Un vero e proprio universo, l’ambito di applicazione del principio volontario. Una sfida ma anche una grande opportunità per i commercialisti italiani: si provi a immaginare quanti clienti potrebbero essere interessati a un sustainability reporting non obbligatorio semplice e modulare come quello regolato da tale standard. Grandi numeri, almeno potenzialmente, che non possono lasciare indifferenti.
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