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Sabato, 1 novembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Il socio può impugnare l’accertamento sulla società estinta dopo i cinque anni

/ Alfio CISSELLO

Sabato, 1 novembre 2025

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L’art. 28 comma 4 del DLgs. 175/2014 stabilisce che, per i cinque anni successivi alla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese, la società, ai fini della notifica degli atti impositivi, di riscossione e del contenzioso, è ancora in vita.
Di conseguenza, è ormai pacifico che in questo lasso di tempo quinquennale non solo la società può ricevere atti impositivi, ma può anche impugnarli in nome del legale rappresentante, ammesso che ci sia ancora qualcuno disposto a ricorrere (civilisticamente, infatti, la cancellazione dal Registro delle imprese estingue la società a tutti gli effetti).

Considerato il tempo passato dall’entrata in vigore dell’art. 28 comma 4 del DLgs. 175/2014, operante per le richieste di cancellazione effettuate dal 13 dicembre 2014, cominciano a riproporsi le problematiche già sussistenti prima di tale DLgs.
Infatti, decorsi i cinque anni, la cancellazione (ri)acquista effetto anche ai fini della notifica degli atti.
Accade tuttavia che, pur trascorsi i cinque anni, continuino a essere notificati atti impositivi, come ad esempio cartelle di pagamento, intestate alla società e notificate all’indirizzo dell’ex legale rappresentante.
Non si tratta, quindi, di atti in cui il Fisco, a torto o a ragione, fa valere la responsabilità di soci, amministratori o liquidatori ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73.

Premesso ciò, questi atti, se inoppugnati quindi definitivi, ben potranno fondare eventuali accertamenti emessi ai sensi della norma richiamata.
Ci si chiede, quindi, se siano legittimi atti ancora intestati alla società estinta spirato il quinquennio e, a prescindere da questo, come e chi li debba impugnare.

Sebbene non in merito a un caso di notifica di atti decorso il quinquennio, di recente la giurisprudenza ha ribadito come, in generale, siano legittimi atti intestati alla società estinta e notificati ai soci. Questi ultimi, essendo astrattamente successori della società, sono equiparati agli eredi e possono ricevere gli atti (cfr. Cass. 22 settembre 2025 n. 25755).
In base a detta interpretazione, che dovrebbe tuttavia essere superata dai principi enunciati dalla Cassazione a Sezioni Unite (12 febbraio 2025 n. 3625), in sostanza si legittima la notifica ai soci degli atti intestati alla società ormai cancellata, rendendo, almeno nella maggioranza delle ipotesi, addirittura superfluo l’intervento legislativo del 2014.

Se è vero che il ricorso proposto dall’ex liquidatore (o dall’ex legale rappresentante) contro un atto intestato alla società estinta è inammissibile per difetto di legittimazione passiva (Cass. 3 marzo 2025 n. 5542 e 21 giugno 2019 n. 16721), altrettanto non può dirsi per il ricorso proposto in proprio dallo stesso ex liquidatore o dall’ex socio, contro l’atto notificato alla residenza di questi ultimi ma ancora rivolto alla società estinta.

Il ricorso non va proposto dai menzionati soggetti in qualità di soci, amministratori o liquidatori, ma in quanto notificatari dell’atto in capo alla società estinta e in ragione della loro possibile responsabilità ex art. 2495 c.c. o ex art. 36 del DPR 602/73. Varie volte, con tesi confermata dalle Seziono Unite 12 febbraio 2025 n. 3625, la giurisprudenza ha sancito che il Fisco ha interesse a ottenere un titolo (l’accertamento definitivo emesso in capo alla società estinta) da spendere, in costanza dei requisiti di legge, nei confronti di liquidatori, soci o amministratori senza che a questo fine rilevi la riscossione di somme da parte di questi ultimi da bilancio finale di liquidazione (circostanza che assumerà, invece, rilievo dirimente nel ricorso contro l’atto in cui il Fisco farà eventualmente valere la loro responsabilità).
Ecco che emerge in modo lampante l’opportunità, se non la necessità, di poter contestare l’accertamento ancora intestato alla società non più in vita.

Non si tratta di soggetto privo di legittimazione

Sono indubbiamente presenti delle lacune legislative, ma in caso di omesso ricorso contro l’atto intestato alla società (sia pure non più in vita) il socio/amministratore/liquidatore, nel successivo ricorso contro l’atto emesso vuoi ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73, vuoi ai sensi dell’art. 2495 c.c., potrebbe sentirsi obiettare (in modo nemmeno troppo pretestuoso) che per contestare il merito si sarebbe dovuto impugnare il precedente atto, sebbene questo precedente atto non possa tecnicamente intendersi quale “atto presupposto” nel senso inteso dall’art. 19 del DLgs. 546/92.
Se, invece, si optasse per una diversa tesi secondo la quale il ricorso contro l’atto emesso nei confronti dell’ente estinto decorsi i cinque anni sarebbe inammissibile difettando il soggetto legittimato a impugnare, allora si dovrebbe consentire al socio/amministratore/liquidatore di poter censurare il merito nel ricorso contro l’atto emesso ex artt. 36 del DPR 602/73 e/o 2495 c.c.

I menzionati problemi, invece, non sussistono se i cinque anni decorrono a processo instaurato, considerato che i soci, in forza di giurisprudenza consolidata, possono subentrare nel processo e valutare se riassumerlo ex art. 43 del DLgs. 546/92 o se appellare la sentenza.

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