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LAVORO & PREVIDENZA

Legittima la decontribuzione per le lavoratrici madri 2024

Per la Consulta sono inammissibili le questioni sollevate sull’esonero della quota IVS a carico della lavoratrice con figli per i soli rapporti indeterminati

/ Federico ANDREOZZI

Sabato, 1 novembre 2025

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È legittimo il riconoscimento dell’esonero della quota IVS a carico della lavoratrice con figli, ex art. 1 commi 180 e 181 della L. 213/2023, ai soli rapporti a tempo indeterminato.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 159/2025, nella quale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 commi 180 e 181 della L. 213/2023, sollevate, con riferimento agli artt. 3, 31 e 117 primo comma Cost., dal Tribunale di Milano con l’ordinanza del 23 ottobre 2024.

In particolare, il giudice milanese aveva posto la questione di costituzionalità delle menzionate disposizioni nella parte in cui non estendono alle lavoratrici madri con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato e a quelle con contratto di lavoro domestico, l’esonero dal pagamento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (quota IVS), previsto per gli anni 2024-2026 a favore delle lavoratrici con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, che siano madri di tre o più figli, fino al raggiungimento del diciottesimo anno d’età del più piccolo e, per l’anno 2024, sempre a beneficio delle medesime lavoratrici, madri di due figli, sino al raggiungimento del decimo anno d’età del più piccolo (si veda “Dubbi di costituzionalità sulla decontribuzione per le lavoratrici madri 2024” del 18 novembre 2024).

Investita della controversia, la Consulta rievoca in primo luogo il complesso corpus normativo oggetto della vicenda, evidenziando come tali disposizioni debbano leggersi in un quadro di normazione temporanea e sperimentale e, inoltre, come, medio tempore, sia intervenuto l’art. 1 comma 219 della L. 207/2024 che ha ridefinito, in senso parzialmente estensivo, l’esonero contributivo in favore delle lavoratrici madri, limitatamente agli anni 2025-2026, prevedendo poi una disciplina a regime, a decorrere dal 2027 (comma successivamente modificato dall’art. 6 del DL 95/2025, che ha rinviato l’operatività della decontribuzione parziale al 2026 e introdotto il contributo da 40 euro, c.d. bonus mamme).
In particolare, per il menzionato biennio, la platea delle beneficiarie è stata estesa a tutte le lavoratrici dipendenti, con esclusione dei rapporti di lavoro domestico, nonché a quelle autonome, che percepiscano almeno una tra le varie tipologie di redditi (da lavoro autonomo, d’impresa in contabilità ordinaria o semplificata, oppure da partecipazione) e non abbiano optato per il regime forfetario.

Ciò detto, la Corte evidenzia le criticità insite alle disposizioni menzionate, a partire dall’individuazione della loro ratio. I commi 180 e 181 dell’art. 1 della L. 213/2023 introducono, infatti, un esonero totale della contribuzione “che favorisce le categorie più abbienti”, in considerazione dell’assenza di un limite di reddito o di retribuzione e ferma restando la previsione del tetto massimo di 3.000 euro, escludendo, al tempo stesso, la categoria delle madri con contratto di lavoro a tempo determinato (categoria che comunque, a differenza delle lavoratrici domestiche, risulta interessata dall’esonero contributivo di cui all’art. 1 comma 15 della medesima legge).

Tuttavia, anche a fronte della constatazione per cui il legislatore si è gradualmente corretto, giungendo, come poc’anzi evidenziato, alla sostanziale parificazione delle fattispecie delle lavoratrici a tempo determinato e indeterminato, la questione circa l’omessa considerazione delle lavoratrici madri assunte a termine deve ritenersi inammissibile, anche in ragione di quella maggiore discrezionalità che deve essere riconosciuta al legislatore nell’ambito di un percorso sperimentale, suscettibile di graduali correzioni.

Permane l’esclusione delle lavoratrici domestiche

Allo stesso modo, la Consulta dichiara inammissibili le censure sollevate con riguardo all’esclusione dall’art. 1 commi 180 e 181 delle lavoratrici domestiche, madri di due o più figli, esclusione rimasta tale anche nel sopravvenuto quadro normativo. In merito, la Corte chiarisce che i contributi dovuti all’INPS da tali lavoratrici si collocano nell’ambito di una disciplina speciale, che presenta profili di peculiarità rispetto alle altre lavoratrici dipendenti: in particolare, la quota IVS complessivamente dovuta è inferiore a quella che deve essere corrisposta in caso di altri rapporti di lavoro di tipo subordinato. Tale specialità porta, dunque, a escludere la possibilità, per la Corte, di procedere a una uniformazione della disciplina rispetto a quella prevista per gli altri contratti di lavoro dipendente.

La Corte Costituzionale quindi conclude dichiarando l’inammissibilità delle questioni così come esposte, sollecitando tuttavia il legislatore a dare “coerenza sistematica dell’intero disegno nel cruciale percorso di sostegno alle lavoratrici madri, in un Paese in cui il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, identificando interventi strutturali che abbiano capacità di sostenere appieno la maternità”.

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