Anche l’OCSE apre alle imposte patrimoniali
La scorsa settimana, a Parigi, l’OCSE ha presentato uno studio dal quale emerge con chiarezza come le imposte di tipo patrimoniale possano essere una delle soluzioni da utilizzare per costruire un sistema fiscale equilibrato e idoneo a favorire lo sviluppo economico, invece che deprimerlo.
Che siano diventati tutti di estrema sinistra?
È sicuramente così.
Come estremista di sinistra è senza dubbio Luigi Abete, il presidente di Assonime, che già qualche mese fa aveva a sua volta riconosciuto l’opportunità di una tassazione sui patrimoni per contribuire a dare ossigeno ai redditi di lavoro e produzione.
Anche io, beninteso, sono di estrema sinistra quando parlo di queste cose, ma non me ne faccio un cruccio: a forza di sentirmelo dire ogni volta che propongo questo tipo di ragionamento, ci ho fatto l’abitudine.
E poi posso sempre fare media con le volte in cui, parlando di altri argomenti, mi sento viceversa dare dell’estremista di destra.
Sono soddisfazioni.
Il giorno in cui in questo Paese si ragionerà sulle singole questioni per esaminare se sono giuste o sbagliate, anziché di destra o di sinistra, sarà il giorno in cui avremo finalmente rappresentanti politici con idee magari non sempre coincidenti con le nostre, ma sempre capaci; e non più invece rappresentanti politici buoni a nulla e rappresentanti politici capaci di tutto, ma da difendere entrambi in odio all’opposto schieramento.
È con questo spirito che, almeno per quanto mi riguarda, mi approccio già da anni alla questione dell’evidente squilibrio esistente nel nostro Paese tra tassazione del reddito e tassazione del patrimonio; tra tassazione del fare e tassazione del possedere.
In Italia, la tassazione sui patrimoni è minima rispetto agli altri Paesi, la tassazione sui frutti dei patrimoni (le rendite) è bassa, la tassazione sui salari e sui profitti è alta: dove vogliamo andare?
Questo non è un sistema, come si vorrebbe far credere, che si fonda sul lavoro, in quanto veicolo di dinamicità sociale e di opportunità per tutti, ma che al tempo stesso tutela la proprietà privata e il risparmio.
Questo è piuttosto un sistema che si fonda sul lavoro, però nel senso che è chi lavora che mantiene tutti (sia chi ha di meno, sia chi ha di più), e che per il resto tutela non la proprietà, ma chi già possiede; non il risparmio, ma chi ha già risparmiato.
Il diritto di proprietà è inviolabile, ma chi lo ha detto che la sua inviolabilità non deve avere un ragionevole (e sottolineo ragionevole) prezzo?
Chi non è convinto che il pacifico godimento sociale di ciò che possiede abbia un valore intrinseco, può tranquillamente andare a fare il possidente in Venezuela e farci sapere come se la passa dopo il terzo rapimento in due settimane.
L’OCSE (non il soviet supremo) ci conforta sul fatto che, se si vuole davvero fare crescita ed efficienza economica (non politiche di solidarietà sociale), è necessario costruire sistemi fiscali in cui vi sia equilibrio tra possesso, rendita e attività produttive di lavoro o di impresa.
Equilibrio non significa introdurre imposte espropriative e non significa penalizzare il risparmio; significa soltanto ricordare che il motore di tutto è la produzione di nuova ricchezza e che il risparmio è più efficiente se la possibilità di risparmiare (oltre che di consumare) viene data a tutti e non soltanto a quelli che, avendo già risparmiato, possono continuare ad accumulare (ed essere i soli a consumare).
Faccio veramente fatica a immaginare come non si possa convenire su questo tipo di ragionamenti di principio.
Il vero punto di difficoltà, rispetto al quale io per primo mi fermo, è che in Italia, fino a quando avremo una classe politica e sindacale quale quella attuale, l’introduzione di imposte patrimoniali non sarà mai concretamente seguita da logiche di riequilibrio sulla tassazione dei redditi di lavoro medi e medio-alti, oggi tartassati in modo indecente.
Certo che no.
Nella migliore delle ipotesi, verrebbe fatta l’ennesima ottusa distribuzione a pioggia di un paio di decine di euro cadauno sui redditi più bassi (e tanti saluti allo stimolo alla crescita e al riequilibrio per il ceto medio).
Nella peggiore, verrebbe lasciato tutto il resto invariato, aumentando così ancora la pressione fiscale (come accade con il recupero dell’evasione, che non viene mai, nei fatti, destinato al famoso “pagare tutti per pagare meno”), perché ai nostri simpatici spendaccioni i soldi pubblici non bastano mai e, come la recente parentopoli romana insegna, c’è sempre un figlio, un amico o un collaboratore da mettere sul nostro libro paga.
Ecco, se qualcuno osserva questo, non posso che convenire.
È importante però mettere a fuoco la questione: non è il principio a essere sbagliato, è la sua pratica attuazione in questo benedetto Paese a essere, ancora oggi, sconsigliabile.
Avere chiaro questo significa avere un motivo di più per aver voglia di cambiare questo Paese e avere già in tasca, una volta riuscitici, una delle misure con cui migliorarlo.
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